Recensione I sotterranei dell’anima (Aldo Carotenuto)

Aldo Carotenuto
I sotterranei dell’anima

Nuova edizione rivista e aggiornata (Bompiani, 2023) a cura di Erika Czako

Recensione di Virginia Salles

Ciò che oggi intendiamo per “sincerità” è qualcosa di abbastanza recente nella
vita etica della cultura europea e viene collocata dagli storici 1 nel periodo a cavallo tra
la società medievale ed il mondo moderno, periodo in cui visse Shakespeare, durante
il quale viene descritta una grande trasformazione nella vita interiore dell’uomo:

1 Trilling, L., Sincerità e autenticità – la vita in società e l’affermazione dell’io, Editora E
Realizações, São Paulo, 2014.

l’impulso all’introspezione e alla ricerca della propria vera identità al di là della
“maschera” sociale. É significativo un passaggio dell’Amleto nel quale Polonio
consiglia a suo figlio Laerte: “sii sempre, e resta, fedele a te stesso; ne seguirà, come
la notte al giorno, che non sarai sleale con nessuno”.
L’ascolto della nostra voce interiore, quella flebile voce che generalmente
viene soffocata dal rumore del mondo e non viene mai presa in considerazione è un
filo conduttore di tutti gli scritti di Aldo Carotenuto ed in fondo è ciò che più
ardentemente desideriamo e la vera fonte di gioia e felicità. Felicità purtroppo
frequentemente inquinata dai panni-ruoli sociali che siamo chiamati, a volte persino
costretti, a indossare.
Dai primordi dell’idea di “sincerità” in Shakespeare all’acuta coscienza dei
ruoli sociali in autori più moderni come Pirandello, Jean-Paul Sartre, Guy de
Maupassant, James Joyce e tanti altri, la tensione tra l’io autentico e le maschere
sociali ha segnato la storia del mondo moderno e acquisito sempre più centralità fino
alla sua celebrazione nel concetto di “processo di individuazione” junghiano o in
quello del “tradimento come fedeltà a se stessi” di Aldo Carotenuto.
Il peccato più grave, sostiene Carotenuto nel suo saggio I sotterranei
dell’anima – che ora ci viene riproposto da Bompiani in una nuova veste editoriale – è
esattamente quello che abbiamo sempre riconosciuto come il valore più alto per un
essere umano: quello di possedere un’autocoscienza. La coscienza di se stessi come
colpa, ci ricorda Carotenuto, è un concetto che incontreremo lungo il percorso
culturale di tutte le civiltà, dalla mitologia greca ed ebraica fino al romanticismo e al
pensiero filosofico moderno. Concetto questo frequentemente sottolineato dall’autore
e soprattutto evidenziato nelle varie tappe che scandiscono il cammino
esistenziale di due personaggi di spessore: Fedor Dostoevskji e Joë Bousquet, due
grandi interpreti dell’anima e della sofferenza umana. Seguendo le loro tracce
Carotenuto ci accompagna attraverso labirinti, caverne e cunicoli oscuri, i sentieri
tortuosi del nostro mondo interiore. Non a caso Le memorie del sottosuolo si apre
con questa affermazione: “Sono un malato” e lo stesso Freud già affermava che
quando un uomo si interroga sul senso della vita “è già malato”. Di quale malattia?
L’autocoscienza. Quando l’uomo è chiamato a ciò che Baudelaire definiva “lo
spaventoso matrimonio con se stesso” è in realtà già condannato alla radicale
incapacità di venire a patti con menzogne e compromessi e all’impossibilità di
abbandonare, anche solo per un istante, l’ascolto di se stesso e la propria via.
Ma non solo: una profonda vita interiore è spesso causa di dolore ed
emarginazione. La diversità ha sempre un costo altissimo in termini di sofferenza,
prevede il passaggio obbligato attraverso la solitudine ed implica reazioni collettive
ed effetti a catena non sempre di facile gestione: solitudine, incomprensione ed
emarginazione sono quindi il prezzo da pagare per restare fedeli a se stessi e non è
per caso che la vita di tanti “spiriti liberi” come Dostoevskji e Bousquet sia trascorsa
sotto l’ombra amara dell’esilio e dell’isolamento: “il disagio della randagità”
descritto dalla poetessa Marina Cvetaeva.
La via verso se stessi è costellata di pericoli e richiede forza e coraggio che
non possiamo sottovalutare. La diversità e la libertà da un’esistenza determinata dal

“destino”, dall’eredità genetica, dai ruoli che ci vengono attribuiti in famiglia o dalla
società non a caso, rimangono privilegio di poche persone. Per Platone “Demone” è
colui che aiuta un altro essere umano a compiere questo destino di diversità e anche
Carotenuto, sulla scia del grande filosofo greco, considera la diversità qualcosa di
“demoniaco” perché demoniaca è la forza che ci consente di liberarci dalla paura e
mostrarci al mondo per ciò che veramente siamo.
Attraverso Dostoevskji e Bousquet, due forti individualità che hanno saputo
affrontare la solitudine e tutto il dolore di questa avventura umana e coinvolgere
profondamente il lettore nella loro tormentata ricerca del senso perduto, Carotenuto ci
invita a riflettere su noi stessi e sulla nostra posizione in questo bizzarro e spesso
incomprensibile mondo contemporaneo. Come un tempo Pier Paolo Pasolini ci
metteva in guardia contro l’omologazione, Carotenuto, come un demone greco, in
questo libro denso e fondo ci pungola e ci sprona – come ha sempre fatto, qualcuno
ricorda le sue lezioni all’università? – alla ricerca di un significato che trascenda tutto
ciò che ci è stato tramandato come unica possibilità di vivere.
“Una terribile notte calerà veramente per lui come un secondo deserto sul
deserto e il suo cuore sarà stanco di errare”, così definisce poeticamente Nietzsche la
sacra maledizione di ogni “viandante” in questo doloroso passaggio attraverso il
dolore e la disperazione di chi ha osato prendere in mano la propria vita: la notte
oscura dell’anima, ben conosciuta dai mistici e illuminati, la nera via per accedere a
quella fonte luminosa chiamata autocoscienza.