Dal deserto alla Terra Promessa

             Dal deserto alla Terra Promessa

             Un percorso di iniziazione/individuazione

 

                                    di Virginia Salles, Roma

 

           Ritirarsi nel buio

La paura del buio è una delle paure più ataviche e profondamente radicate in tutti noi. Privi del senso della vista non ci fidiamo del mondo che ci circonda e nemmeno di noi stessi, ma allo stesso tempo tutti gli altri sensi sembrano acuiti, e siamo costretti a rivolgere lo sguardo verso il mondo interiore per poter trovare la via.

Da tempi immemorabili le nostre tradizioni spirituali invitavano gli adepti a cercare nell’oscurità delle caverne, nei cunicoli sotterranei o nelle foreste oscure la via per l’illuminazione: la parola d’ordine era “ritirarsi nel buio per ritrovare se stessi”. I taoisti affermano che «quando entri nell’oscurità e questa diventa totale, l’oscurità si trasforma presto in luce».

Oggi sono tornati in voga questi antichi “ritiri al buio”, durante i quali i partecipanti scelgono di vivere, appunto nel buio totale, per tutto il tempo che riescono a sopportare e sono, in un certo senso “costretti” a guardare dentro gli abissi profondi della propria anima. La paura iniziale lascia allora spazio ad un viaggio interiore, colmo di sorprese, dal quale non si ritorna più gli stessi di prima.

Nel buio tutto è presente e contrariamente a quanto siamo abituati a credere, si attivano i sensi ed emergono molti più stimoli di quanti siano quelli illuminati dalla luce. Il Sefer ha-Zohar, cioè “Il libro dello Splendore” è un libro fondamentale della mistica ebraica scritto nel XIII secolo. Secondo la leggenda il suo autore, Shim’on bar Yochay lo compose nel buio di una caverna dopo molto tempo di ritiro, in assenza totale di luce. Nel buio non ci sono le solite proiezione e il passato non sembra presente, siamo più liberi, soli con noi stessi possiamo finalmente attingere all’essenza di ciò che siamo e dell’esistenza stessa.

 

Invertire la rotta

Molte persone, in un momento particolare della loro esistenza, sentono che la vita gli sta “stretta”, si accorgono di agire ed esprimersi ad un livello molto inferiore alle proprie potenzialità creative ed esistenziali. Questa consapevolezza porta a un’inversione di rotta negli abituali processi interiori, al ritiro delle energie psichiche investite nel mondo esterno e alla loro “introversione”. É il momento di penetrare coraggiosamente nella foresta oscura descritta da Dante, nel proprio mondo interiore alla ricerca di qualcosa che è andato perduto. Jung lo considera un processo naturale, tipico della seconda metà della vita. A questo punto, incominciano ad affiorare nella coscienza contenuti inconsci, immagini e simboli investiti di forte carica emotiva che possono interferire più o meno sul vivere quotidiano. Questa irruzione di materiale inconscio provoca una crisi esistenziale ed un rischio di “scissione” della personalità, ma può rappresentare anche un’opportunità di risoluzione dei traumi stessi e di trasformazione psicologica.

Il “dramma della creazione”, la “storia della Rivelazione”, ed il Vangelo stesso, ci vengono raccontati e tramandati da millenni nell’intento di offrirci una sorta di “libretto di istruzioni” per superare questi momenti di crisi, renderci consapevoli di chi siamo e del nostro progetto esistenziale.

Nella nostra società materialista siamo condizionati dall’idea che l’essere umano sia circoscritto e definito dai limiti del suo corpo, eppure la nostra tradizione cristiana affonda le sue radici nell’assioma fondamentale della “resurrezione di Cristo”, come a volerci ricordare l’esistenza di “qualcos’altro” in noi, oltre il tempo e lo spazio, qualcosa che possiede una valenza salvifica.

 

Nell’Antico Testamento ci viene descritta la condizione di caduta, rappresentata dagli ebrei nel deserto egiziano prima dell’Esodo: una condizione esistenziale senza tempo che appartiene anche all’uomo moderno, definito in termini cabalistici “costruttore di mattoni”. Anziché andare verso l’estasi della propria realizzazione nell’unione con la parte più profonda di se stessi, l’uomo del deserto “costruisce mattoni” e ciò significa la ricerca perenne di una sorta di beatitudine nelle conquiste esteriori: nell’“immagine” (il look), nel consumo sfrenato, nel ruolo professionale, nelle banalità condivise. “Costruirsi un’immagine” (i mattoni), secondo la tradizione cabalistica, appartiene al mondo dell’inconsapevolezza, è la sostituzione narcisistica di ciò che ogni uomo è chiamato a conquistare interiormente: il proprio nome segreto, in rapporto al quale, il nome al quale rispondiamo non è altro che una maschera menzognera. “Persona”, come la definisce Jung, che assume la propria dimensione umana, nel senso più elevato del termine, solamente quando entra in risonanza con “il seme”, il germe di vita sul quale è modellata la propria veste essenziale. Nella Cabalà si parla di “un suono fondamentale” che viene dal “Verbo” e che scolpisce ogni essere vivente partendo dalla sua radice ontologica. L’uomo che, come Narciso, persegue l’immagine esterna anziché la propria identità interiore, non può che fabbricare mattoni. L’uomo cosciente di se stesso e artefice del proprio nome è “pietra”.

 Dal punto di vista psicologico possiamo tradurre tutto ciò come un invito ad operare “l’integrazione degli opposti” di cui parla Jung: luce e tenebre, corpo e anima, libertà e prigionia e in particolare Maschile e Femminile che, in un modo più ampio li raccoglie e li sintetizza. È attraverso questa sintesi che ciò che è invisibile emerge nel mondo visibile, attraverso il pensiero, l’immaginazione o l’opera creativa. E noi possiamo allora vedere e conoscere.

La felicità, afferma Albert Camus, va ricercata alle radici dell’infelicità ed Jung nel suo Libro Rosso ci ricorda che è nel fondo della sofferenza che un uomo si risveglia… “al sorgere dell’Eterno in sé”. E ciò accade proprio nell’attimo stesso in cui le tenebre preannunciano l’emergere dall’abisso e la successiva rinascita. In questo momento è molto forte la tentazione della regressione, ma nella misura in cui ci rendiamo consapevoli e prendiamo parte attiva in questo processo, la sofferenza viene sostenuta con coraggio e dignità e si aprono le porte della trasformazione.

 

 

Giona e il grande pesce

Nel Vangelo, quando gli scribi e i farisei chiedono a Gesù di fare miracoli, egli risponde: “Non ve ne saranno dati altri, se non quello di Giona. Come Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra…” [1]

“Jonah and the Whale”, Folio from a Jami al-Tavarikh (Compendium of Chronicles)
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Nel racconto biblico il profeta Giona disobbedisce alla chiamata divina e anziché andare verso Ninive per annunciare la parola di Dio, s’imbarca per Tarsis, sottraendosi così alla propria missione. Arriva una tempesta che solleva onde minacciose e la nave rischia di affondare. I compagni d’imbarcazione terrorizzati interrogano i cieli e scoprono che era proprio lui, Giona, il viaggiatore sconosciuto, la causa della tragedia annunciata. Lo gettano in mare ed un grande pesce lo inghiotte. Giona rimane nel ventre della “balena” tre giorni e tre notti, ma quando finalmente si ricorda del destino assegnatogli da Dio, il grande pesce lo rigetta sulla terra ferma.

Lo stato psicologico di Giona nella nave è la desertica condizione dell’auto tradimento, la condizione di chi non ha ascoltato la chiamata verso il proprio mondo interiore. “Volgere lo sguardo verso l’alto e ricordarsi del destino assegnatogli da Dio” significa ritornare a se stessi e scorgere finalmente ciò che va oltre la “prigione”. Non solo percepire la propria appartenenza a qualcosa di molto più grande, ma anche pensare nei termini di “Insieme”, al di là dei singoli bisogni personali. Solo allora tutto ciò che ci appare assurdo o contradittorio può essere visto come un frammento di una dimensione più vasta di noi stessi che al momento non siamo ancora in grado di integrare in una visione più ampia e renderla coerente ed accettabile. Quando per un breve instante l’uomo del deserto “alza gli occhi al cielo” e scorge qualcos’altro sopra la sua testa, inizia per lui la vita travagliata e insidiosa del “mutante”.

Mi vengono in mente le parole di George Bataille: “Non dimenticherò mai ciò che di violento e di meraviglioso si lega alla volontà di aprire gli occhi, di guardare in faccia quel che accade, ciò che è. Ed io non conoscerei ciò che accade se non sapessi nulla del piacere estremo, se non sapessi nulla dell’estremo dolore”[2].

La nostra tragedia e la nostra gloria in quanto esseri umani derivano dal fatto che ci possiamo identificare contemporaneamente con gli aspetti più contrastanti dell’esistenza: la forma esteriore e la Vita (interiore). Viviamo immersi in pensieri astratti, con la testa fra le nuvole, ma affondiamo i piedi nel “fango” della vita quotidiana e i nostri occhi sono chiusi alla bellezza del mondo: è questa la condizione dell’uomo del deserto descritto nei testi sacri, drammaticamente sospeso tra il cielo e la terra, in costante oscillazione tra gli opposti. Un uomo lacerato in un campo di battaglia che ci ricorda il Kurukshetra, quando Arjuna proprio per la sua purezza e nobiltà d’animo ne esce vincitore con l’aiuto di Krishna che gli rivela gli insegnamenti della Bhagavad Gita.

 

 

Dal buio alla Luce

 

Più arido è il nostro deserto, ci ricordano ancora i testi sacri, più intensa sarà la nostra sete e la nostra passione. Durante il percorso di individuazione/iniziazione noi siamo chiamati alla trasformazione, ma nello stesso tempo ci sentiamo “appesantiti”, spinti verso una nuova nascita ma trattenuti nell’oscuro passaggio verso la luce: nati per la libertà, ma tenuti prigionieri.

 

 

Le mitiche “piaghe d’Egitto”: l’acqua mutata in sangue, le rane e le locuste, la lebbra, le grandinate, la moria del bestiame, le tenebre, la morte dei primogeniti… ognuna simbolizza una differente fase del processo di trasformazione. Inizia così per gli ebrei/iniziandi il lento processo di distinzione tra ciò che è compiuto, rappresentato dalla terra promessa verso la quale essi tendono, e ciò che resta ancora nelle tenebre dell’incoscienza, rappresentato dagli egiziani. Alla fine della descrizione di ogni piaga, nel libro sacro viene ripetuta la frase: “…e il cuore del faraone s’indurì sempre di più come aveva preannunciato il Dio”. Questo “indurimento del cuore del faraone” sta per il percorso di liberazione degli ebrei come l’avversario di ogni combattente nelle lotte orientali. Secondo il principio delle arti marziali, l’avversario non è mai il nemico, ma è colui che si oppone al lottatore perché costui, dinanzi a tale resistenza, sprigioni una nuova forza.

Ciascuna di queste simboliche piaghe fa spalancare sempre di più le fauci dell’abisso che separa l’egiziano in noi dall’ebreo che anche noi siamo e dalla Terra promessa: la rinascita o lo “sposalizio” con il femminile profondo potrà avvenire solo alla fine di questo drastico processo di separazione da ciò che era prima oscuramente confuso.

Nella tradizione biblica il primogenito di ogni creatura viene considerato come “l’immagine del Dio invisibile” ed è attraverso la decima e ultima piaga – la morte dei figli primogeniti e dei primogeniti degli animali – che viene raggiunto il momento clou dell’opposizione, il punto di rottura. È il momento nel quale le due forze opposte si scontrano, momento che implica un “salto nell’ignoto” ed una morte. Ogni essere umano può fare esperienza di questa morte e della propria ri-nascita nell’attimo in cui il buio dell’incoscienza si squarcia per lasciar scaturire la luce

 

 

La rinascita

 

Il concetto orientale di Armonia è collegato all’idea di unità tra cielo, terra e uomo e connette simbolicamente il singolo individuo con la natura, l’ordine sociale e l’intero cosmo. Nella mente razionale, tipica della nostra cultura occidentale, la dimensione invisibile dell’esistenza così come la “visione d’Insieme” è qualcosa di dimenticato, ignorato, a volte completamente perduto. Tuttavia negli ultimi decenni in tutti i campi del sapere, stiamo attingendo a qualcosa che ha attinenza con “l’esodo dal deserto” e con la trascendenza: la materia inerte inizia a rivelarci i suoi segreti; la matematica e la fisica moderna sconfinano con la mistica e con la metafisica; la medicina sembra non poter più ignorare il grande Mistero della morte e della nascita e la psichiatria si interroga sempre di più circa la vera natura delle malattie mentali. Stiamo iniziando ad afferrare un segreto antico e nuovissimo allo stesso tempo, che si integra con la scienza più moderna in un viaggio affascinante nelle profondità dell’anima umana.

Una frase del vangelo ci può fare molto riflettere: “Hai fatto il tuo dovere” dice Gesù, “sei un servo inutile”[3]. Ma cosa c’è oltre il nostro dovere? Forse, alla luce di quanto detto finora: l’esodo dal deserto ed il riscatto a caro prezzo della nostra presenza in questo mondo. Non possiamo aprire le finestre al mondo se non spalanchiamo prima di tutto i nostri confini interiori. Siamo chiamati quindi ad intraprendere un lungo e tormentato percorso, nel quale piacere e dolore divengono i nostri compagni di viaggio e fattori determinanti di conoscenza e rivelazioni. Se non ascoltiamo questa chiamata o ci rifiutiamo di perseguire questa via di individuazione/verticalizzazione fino alle sue ultime conseguenze, le nostre potenzialità di crescita interiore procederanno inconsciamente, ma nel percorso inverso: una crescita all’incontrario, pericolosa e distruttiva, che anziché sanare la personalità finisce col provocare ulteriori sofferenze.

Jung – che è stato il primo psicologo a teorizzare che nell’inconscio esiste una porta d’accesso ad una coscienza più ampia e universale, una via verso il trascendente – esprimeva questa preoccupazione con le seguenti parole: “Viviamo in quello che i greci chiamavano Kairos o momento certo per una ‘metamorfosi degli dèi’, dei principi e simboli fondamentali. Questa peculiarità del nostro tempo, che certamente non è una nostra scelta, è l’espressione dell’uomo inconscio dentro di noi che sta cambiando. Le generazioni future dovranno prendere in considerazione questa importante trasformazione, in modo che l’umanità non distrugga se stessa attraverso la sua propria tecnologia e scienza…la posta in gioco è alta e dipende molto dell’assetto psicologico dell’uomo moderno. Ma l’individuo lo sa che è lui il contrappeso della bilancia?”[4]. E’ lo stesso Jung ad affermare nel suo Libro Rosso: “la nostra epoca sta cercando una nuova fonte di vita. Ne ho incontrata una ed ho bevuto della sua acqua ed aveva un gusto buono”[5].

 

 

 Attenzione pericolo!

 

Amit Goswami, fisico teorico nucleare è uno di quegli scienziati, sempre più numerosi, che negli ultimi anni, come Ervin Laszlo, si sono addentrati nel campo della spiritualità nel tentativo di dare un senso ai risultati apparentemente incomprensibili dei loro esperimenti. Ciò che emerge da questi studi è una visione psicologica che va oltre la psicologia, così come la conosciamo, come se in un certo senso dovessimo varcare il nostro “Mar Rosso”. É molto pericoloso ed anacronistico voler riportare esperienze di tali profondità al livello delle categorie della coscienza ordinaria, banalizzarle o chiuderle nei nostri schemi concettuali. Questo tipo di esperienza appartiene a quei territori della psiche che vanno oltre le categorie abituali e richiedono un ampliamento ed una revisione dei nostri concetti fondamentali. Richiede un altro paradigma di riferimento, un’altra visione del mondo. La posta in gioco è immensa: è ciò che i cabalisti chiamano “la rettificazione del peccato dell’albero della conoscenza” e che in ambito della potrebbe essere definito come il superamento dell’ego separato, una profonda esperienza interiore, un’esperienza profondamente umana di superamento dei confini dell’ego e di Unione. Solo allora possiamo guardare ciò che ci circonda da un’altra prospettiva e vedere il mondo illuminato da una luce totalmente nuova. Luce che si spegne quando il nostro sguardo si volge sempre più annebbiato su un mondo rassicurante e prevedibile fatto di mattoni e cemento.

Di quando in quando il nostro pianeta attraversa un inevitabile evento catastrofico: la morte collettiva degli esseri viventi. Fino a circa duecento anni fa noi uomini non avevamo la minima idea che questo fosse mai accaduto o potesse accadere ancora. Non c’è mai stata, in nessun precedente periodo della storia umana, la consapevolezza della possibilità di un’estinzione di massa. In condizioni normali scompaiono ogni anno da 1 a 10 specie, durante l’ultimo secolo però il tasso di estinzione è accelerato in maniera impressionante (le cifre parlano della scomparsa di almeno 1.000 specie all’anno). Nel caso in cui gli esseri umani non esistessero o si comportassero diversamente in relazione alla Natura, questo processo di estinzione sarebbe qualcosa di irrilevante e trascurabile. Secondo alcuni scienziati, stiamo assistendo ad una catastrofe lenta ma inesorabile, ci troviamo alle soglie di un’altra estinzione di massa. La differenza, questa volta, è che siamo noi i responsabili di questo evento. Ci risulta però difficile sentire e comprendere ciò che sta accadendo perché questa è una consapevolezza che riguarda l’intero pianeta e richiede “una visione d’insieme” mentre i nostri sensi sono stati abituati e si sono sviluppati per trattare e interagire con le cose a portata di occhio e di mano e non è facile percepire ciò che riguarda la Totalità.

Lo sviluppo esplosivo della scienza e della tecnologia del ventesimo secolo hanno accresciuto enormemente la nostra conoscenza del mondo materiale, dalla fisica alla biologia, alla matematica…, ma ci hanno allontanato sempre di più dall’antica “visione d’insieme” – dall’antico Dio, lo possiamo dire – fino a bandirlo dalla nostra vita con tutta la dimensione trascendente dell’esistenza, ed a sostituirla con il mondo tangibile, misurabile, proposto dalla visione scientifica. Oggi ci comportiamo davvero come onde che si sono dimenticate di essere il mare. Se dal punto di vista esteriore queste immense conquiste hanno migliorato vistosamente la qualità della nostra vita, per quanto riguarda la visione d’Insieme, la conoscenza di noi stessi e del significato dell’esistenza è come se ci fossimo arenati: questo sviluppo esponenziale non è stato seguito da un’adeguata “consapevolezza” ed evoluzione etica che accompagni il passo di queste grandi conquiste. La scienza si è rivelata deludente rispetto alle aspettative di “un mondo migliore”, di un’evoluzione umanistica e qualitativa della umanità. Mai nella storia delle conquiste scientifiche e tecnologiche gli uomini hanno tratto tanti vantaggi dai progressi raggiunti come nei giorni nostri, così come mai sono stati tanto diffidenti nei loro confronti. Di conseguenza, il Dio abbandonato in favore dei promettenti traguardi dell’era illuminista è ritornato vendicativo e dal buio profondo delle nostre anime pretende le attenzioni che gli sono stati negate, sotto forma di “malattie”, come sostiene James Hillman. O di “pulsione mistica” come afferma Stanislav Grof.

Scrive Camus: “…anch’io come tutti, avevo letto dei racconti sui giornali. Ma certo esistevano libri speciali che non ho mai avuto la curiosità di consultare; in essi forse avrei trovato racconti di evasione. Avrei saputo che almeno in un caso la ruota si era fermata, che in quel precipitare irresistibile, una sola volta, il caso e la fortuna avevano cambiato qualcosa. Una volta! In fondo credo questo mi sarebbe bastato: il mio cuore avrebbe fatto il resto”[6].

Se una volta sola vivessimo ciò che archetipicamente ci viene descritto come “l’Esodo degli Ebrei” dal deserto o come dalla prigione del nostro deserto/Ego, se ‘annegassimo’ per poter finalmente essere espulsi dal ventre del grande pesce, conosceremmo l’Infinito e forse, per un attimo, potremmo intravedere la Luce. In questo travagliato viaggio agli albori dell’anima, è come se piantassimo le nostre radici nel suolo fertile e potessimo autenticamente germogliare.

 

 

 

ABSTRACT

 

Nell’Antico Testamento ci viene descritta la condizione di caduta, rappresentata dagli ebrei nel deserto egiziano prima dell’Esodo: una condizione esistenziale senza tempo che appartiene anche all’uomo moderno, definito in termini cabalistici “costruttore di mattoni”. Quando per un breve instante l’uomo del deserto “alza gli occhi al cielo” e scorge qualcos’altro sopra la sua testa, inizia per lui la vita travagliata e insidiosa del “mutante”.

 

ABSTRACT IN INGLESE

 

From the Desert and the Promised Land. A path of initiation/individuation

 

In the Old Testament, we are described the fallen condition depicted by the Hebrews in the Egyptian desert before the Exodus: a timeless existential condition that also belongs to modern man, referred to in Kabbalistic terms as a “brickmaker.” When for a brief instant the desert man “lifts his eyes to the sky” and glimpses something else above his head, the troubled and insidious life of the “mutant” begins for him.

 

 

PAROLE CHIAVE: individuazione, iniziazione, C. G. Jung, Giona e la balena, luce e buio, l’esodo

 

KEE WORDS: individuation, initiation, C. G. Jung, Jonah and the whale, light and darkness, the exodus

 

AUTORE

 

Virginia Salles, nata a Bahia, Brasile ha studiato psicologia alla Sapienza, a Roma, dove vive e lavora. Psicoterapeuta individuale e di gruppo, di formazione junghiana è specializzata in e con Stanislav Grof. E’ autrice dei libri Agua scura edito da Di Renzo Editore, 2005; Mondi invisibili. Frontiere della edito da Alpes Italia srl, 2013; Spazi oltre il confine. Temi e percorsi della psicologia del profondo tra C. G. Jung, e la Cabalà (Alpes Italia, 2015) e  di numerosi articoli sulla psicologia analitica e transpersonale. (sito web: www.virginiasalles.it).

 

 

AUTHOR

 

Virginia Salles, born in Bahia, Brazil, has study psychology in Rome, where she currently works and studies. An individual, and group, Jungian therapist, she has specialised in transpersonal psycholotherapy, and holotropic breathing with Stanislav Grof. Author of “Agua scura” published by Di Renzo Editore, 2005, “Mondi invisibili. Frontiere della psicologia transpersonale” published by Alpes Italia, 2013, and  “Spazi oltre il confine. Temi e percorsi della psicologia del profondo tra C. G. Jung, e la Cabalà” published by Alpes Italia, 2015, and of numerous articles on anatiytical and transpersonal psychology. (web site: www.virginiasalles.it).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Matteo 12, 39-40

[2] Bataille, G., L’erotismo, ES, Milano, 1997, p. 246.

[3] Luca 17, 10.

 

[4] Jung. C. G.,Dopo la catastrofe, Opere, vol 10, Bollati Boringhieri. Torino, 1986, p.47.

[5] Jung, C. G., O Livro Vermelho, Editora Vozes, Ltda, Petropolis, 2010, p.297, T.d.A.

 

 [6] Camus, A., Lo straniero, Omnibus Euroclub, p. 107.