Maschile/Femminile. La nostalgia della completezza.

 

Di Virginia Salles, Roma

 

La donna deve adorare l’uomo come un Dio. Tutte le mattine per nove volte di seguito deve inginocchiarsi ai piedi del marito e, con le braccia incrociate, domandare: “Signore cosa desidera che io faccia?

Zarathustra (filosofo persiano, sec. VII A.C.)

 

Anche nel caso in cui il comportamento del marito è censurabile, anche se lui si conceda altri amori, la donna virtuosa deve riverirlo come un Dio.

Legge di Manu (Libro sacro dell’India)

 

La natura crea le donne solamente quando non può creare gli uomini. La donna è, perciò, un uomo inferiore.

Aristotele (filosofo greco, secolo IV A.C.)

 

Che le donne stiano zitte nelle Chiese, perché non è permesso loro di parlare. Se vogliono essere istruite su un qualsiasi argomento che interroghino a casa il loro mariti.

San Paolo (apostolo cristiano, anno 67 D. C.)

 

Il peggiore ornamento che una donna può desiderare è quello di essere sapiente.

Lutero (teologo tedesco, riformatore protestante, sec. XVI)

 

Tra tutte le grandi dualità con le quali prima o poi siamo chiamati a confrontarci, il bene e il male, la libertà e la sottomissione, il maschile e il femminile, l’umano e il divino… la coppia archetipica uomo-donna è quella dove gli opposti maggiormente si attraggono, ma è allo stesso tempo anche la polarità più difficile da ricongiungere.

Secondo l’Aristofane platonico, in origine gli esseri umani avevano una forma sferica ed erano composti da quattro gambe, quattro braccia e due facce poste su lati opposti, sopra a due organi genitali. Erano, per così dire “completi”. Superbi per la loro perfezione, essi tentarono di scalare l’Olimpo per spodestare gli dei, ma Zeus, indignato per questo affronto, intervenne a colpi d’ascia e li divise in due, uno ad uno. Così indeboliti, spiega Aristofane, da quel momento nacque negli umani quella disperata ricerca dell’antica unità che può essere ritrovata solamente attraverso il congiungimento con la propria metà perduta. Chiamiamo Amore questo desiderio e questa ricerca di completezza. Il “taglio in due parti” descritto nel mito sta a rappresentare quel dolore inesauribile che ci portiamo dentro: ci sentiamo lacerati, estirpati da qualcosa di così desiderabile che ricordiamo come un lontano sentimento di “essere Tutto” vissuto altrove, nel tempo o nello spazio. É questo il nostro fondamento conflittuale, sempre più esasperato nell’uomo contemporaneo, accompagnato da quella struggente nostalgia descritta nei miti e dai poeti di tutti i tempi.

Una separazione profonda, intrapsichica, tra ciò che riconosciamo come noi stessi, la nostra identità ordinaria (l’io) e il mondo interiore (l’inconscio) che secondo Jung viene rappresentato nei sogni attraverso le funzioni psichiche di Animus (l’immagine interna del maschile nella psiche femminile) e di Anima (l’immagine del femminile presente nella psiche maschile). Quando nei sogni o nelle fiabe parliamo di re e di regine stiamo personificando queste forze misteriose e queste dinamiche vitali della psiche che influenzano i nostri desideri, fantasie e i nostri comportamenti in relazione all’altro sesso. “L’Animus e l’Anima” sono gli archetipi del percorso di individuazione che contengono il segreto di una vita autentica, in sintonia con la nostra essenza più profonda.

 

Il dominio maschile

Dominare il mondo, costruire imperi, soggiogare la Natura sono modus operandi tipici della coscienza maschile. Per poter sopravvivere l’essere umano ha dovuto in qualche modo “piegare” la natura alle proprie esigenze, bisogno questo che ha determinato un graduale allontanamento dal mondo istintuale/femminile, portato alle estreme conseguenze negli ultimi secoli della nostra civiltà. La scienza e lo sviluppo tecnologico sono conquiste della mente razionale/maschile, conquiste pagate a caro prezzo.

Nel prediligere e potenziare l’aspetto razionale della psiche abbiamo screditato e svalutato il mondo femminile nella sua interezza e nel suo mistero. Si è trattato di uno sviluppo unilaterale che, se da una parte ci ha offerto tanti vantaggi, dall’altra ci ha impoveriti. In una cultura dominata dell’archetipo del “Dio Cielo” (Zeus) quale è quella in cui viviamo (definita da molti “patriarcale”), ciò che è “Terra” viene svalutato oppure fatto oggetto di sopraffazione: il corpo, la Natura, i sentimenti, istinti ed emozioni, le donne. Evoluzione culturale, fino ai tempi attuali, ha significato quindi separazione dalla Natura e repressione del mondo femminile. Tutto ciò ha provocato l’inaridimento progressivo della nostra società: la “Dea Madre” è stata gradualmente allontanata e i risultati di questo lento processo di alienazione umana dalle proprie radici vitali appaiono oggi molto chiaramente dinanzi ai nostri occhi, nel mondo contemporaneo, come una crisi collettiva, prevalentemente maschile. Come afferma William Sloane Coffin “la donna che più deve essere liberata è la donna che vive in ogni uomo”.

Johann Jakob Bachofen (1815 – 1887) giurista e antichista svizzero, nel 1861 ha scritto Il Matriarcato, un testo che è diventato un classico dell’antropologia basato sulla scoperta di uno stadio dell’evoluzione della civiltà durante il quale il potere sarebbe stato in mano alle donne anziché agli uomini. Testo che ha ispirato filosofi, artisti, poeti, ma che in realtà non è mai stato realmente confermato. Al contrario, ciò che ci risulta storicamente è una donna da sempre soggiogata, considerata come un essere debole e inferiore, sacra in quanto madre, ma da tenere sotto guida e controllo, soprattutto nel momento in cui esprime un proprio desiderio e una propria volontà erotica o comportamentale. Da punire appena esce dai ruoli a lei affidati o aspira a ruoli tradizionalmente assegnati agli uomini.

 

 


 Alcune opere d’arte classiche ritraggono veri e propri archetipi della violenza di genere come per esempio “Il ratto delle Sabine”, opera del fiammingo Jean de Boulogne (1529 -1608) o L’Apollo e Dafne di Gian Lorenzo Bernini (tra il 1622 e il 1625), che è la rappresentazione di uno stupro.

 

 


Nell’antico testamento Eva, nata da una costola di Adamo, la prima peccatrice e la tentatrice per antonomasia, sviò l’uomo della retta via e per causa sua l’umanità precipitò verso il basso, nell’abisso oscuro del Male. Nell’ebraismo, nell’islam, nei testi classici è sempre presente questa visione colpevolizzante e parziale della donna, nata dalla tradizione storica che vede il mondo femminile come abitato da creature inferiori, sottomesse, peccatrici, incapaci di gestire la propria vita in piena libertà e autonomia. Con alcune eccezioni: secondo la tradizione della Cabalà ebraica, Lillith è il nome della prima donna creata, prima compagna di Adamo e precedente a Eva, venne ripudiata e cacciata via perché si rifiutò di obbedire al marito che pretendeva di sottometterla sessualmente. La sua figura risale ai miti e leggende antiche della Mesopotamia. Sebbene alcuni studiosi datassero l’origine verso il VIII secolo a.C., le trascrizioni mesopotamiche accennano a questa figura già dal III millennio a.C. Lillith compare nell’insieme di credenze dell’ebraismo come un demone notturno dalle sembianze di una civetta che lancia il suo urlo terrificante. Secondo i testi cabalistici, Lillith sarebbe stata la prima vera donna con pari dignità dell’uomo, creata, a differenza di Eva, dalla terra e non da una costola di Adamo. Nella Bibbia troviamo un racconto della creazione molto più antico di quello che ci viene tramandato: “Dio creò l’uomo a sua immagine. A immagine di Dio li creò. Maschio e femmina li creò” (Gen 1, 27).

Platone nella “città giusta” teorizzata nella Repubblica sostiene che niente differenzia la donna dall’uomo, l’unica differenza è che sono sempre state considerate fragili ed è stato negato loro partecipazione a tanti aspetti della vita. Per Platone solo Il concetto di fragilità va contro la natura della donna: la donna puo andare in guerra, amministrare la città, è portata per la scienza ecc … Il parto non giustifica tale discriminazione. Aristotele, allievo di Platone, al contrario ha iniziato a svalutare la donna (ma era ambiguo: si possono trovare immagini dell’epoca raffiguranti lui cavalcato da una donna) così come S. Agostino, Paolo di Tarso ecc

 


 

Aristotele era un personaggio importante, considerato uno studioso autorevole e saggio, ma era molto maschilista, (come lo erano gli ateniesi di quel tempo) e considerava le donne poco più di un capo di bestiame.

 

 

La nostra religione ha radici profondamente maschiliste, basta pensare a come vengono descritte le donne e la sessualità femminile, per esempio nel Malleus Maleficarum, il libro cardine dell’Inquisizione: “di debole intelligenza, ciarliere, vendicative, invidiose, colleriche, volubili, smemorate, mentitrici, dai desideri insaziabili, le donne – già per il loro corpo- sono preferite per la prostituzione diabolica”1

Nel cattolicesimo Maria Maddalena è stata considerata una meretrice, ma nel Vangelo il suo nome non viene mai menzionato negli episodi in cui Gesù si rivolge a una prostituta. La Misoginia è la madre di tutti i pregiudizi ed il più antico, si trova nelle religioni, nella letteratura, nei testi classici e sacri, provoca paura e rabbia e imprigiona non sola la donna, ma anche gli uomini in un ruolo stereotipato. Anch’essi ne sono vittime. Per liberarsi da questa mascolinità tossica che genera violenza, gli uomini devono iniziare ad interrogare non solo il maschile, ma anche il misogino che è in loro. Educazione sentimentale significa per gli uomini autoconoscenza, ma soprattutto relazione con la propria parte femminile (viceversa per le donne). Significa rivolgere uno sguardo femminile sul mondo che non è necessariamente lo sguardo di una donna.

Una società nella quale prevalgono ancora le caratteristiche maschiliste/misogine non può tollerare la libertà femminile. Oggi si parla molto di patriarcato, ma in realtà siamo in un momento di passaggio tra il patriarcato – che dopo la rivoluzione dei costumi degli anni 60/70 ha iniziato a depotenziarsi e trasformarsi – e qualcosa di nuovo non ben definito, qualcosa che ancora non sappiamo.

 

Il femminile perturbante

La rigida identità maschile percepisce le donne come perturbanti e pericolose in quanto esse rappresentano il mondo emotivo, la forza della Natura, dei sentimenti, la libertà. Molti uomini temono i propri sentimenti/emozioni ed è molto facile trovare tra loro dei veri e propri analfabeti emotivi. Per alcuni rappresentanti del sesso maschile la donna non è “altro da sé”, ma possesso, risposta alle proprie esigenze. In questi casi un incontro che non sia “utile” o superficiale viene vissuto come qualcosa di “rischioso”. Le donne possono fare innamorare gli uomini che significa fargli perdere il controllo ed il bisogno di controllo è caratteristico della nostra società: controlliamo la Natura ed il sovrannaturale attraverso la scienza, le nostre relazioni intersoggettive attraverso il matrimonio, le nostre emozioni, il corpo, la sessualità… Da tutto questo risultano relazioni uomo/donna molto spesso ambigue, contradittorie, cariche di desiderio, timore, diffidenza. Per Charles Bukowsky “le donne fondamentalmente sono una combinazione di quanto c’è di peggio e di quanto c’è di meglio al mondo, magiche e terribili”.

In alcuni contesti culturali è massiccia la presenza di mostri femminili. Nel teatro, nella letteratura, nelle favole è facile inciampare in vecchie streghe, orchesse, giovani spose che si trasformano in demoni minacciosi: la donna, il suo corpo, la sessualità fuori di ogni controllo. La mostruosità femminile si insinua così nella nostra immaginazione, nei nostri miti, nel cinema – come, per esempio, nel più recente lavoro del regista greco Yorgos Lanthimos, Povere creature, basato sull’omonimo libro di Alasdair Gray (1992) nella figura di Bella Baxter. I mostri femminili sono le donne libere che sfuggono al controllo maschile.

Pensiamo al corpo della donna: è imprevedibile, “profondo”, la sua sessualità è interiore, nascosta, misteriosa. Come generatore di vita il corpo femminile si avvicina pericolosamente al Mistero più grande: quello della vita e della morte. Il corpo della donna sfugge quindi alla comprensione maschile, fa paura e si trasforma così nel campo di battaglia di un conflitto antico quanto il mondo. Nelle guerre il nemico viene ucciso e la donna in quanto proprietà del nemico, viene stuprata, il che significa inserire nel suo ventre, quindi nel futuro del vinto, il seme vincitore.

Secondo Stanislav Grof ogni manifestazione bellica può essere collegata emotivamente ad una sola grande guerra primordiale e a tutta l’aggressività ad essa collegata: la battaglia del nascituro contro il corpo materno per venire alla luce.2

 

L’immagine della donna nella storia

La donna è sempre stata vincolata alla natura, al corpo di riproduzione e ha sempre dovuto combattere per il proprio riconoscimento al di là del ruolo materno di nutrimento e di cura. Mi viene in mente un verso di Fabrizio De André: “… femmine un giorno e poi madri per sempre…” che ci fa riflettere sulla potenza di questo ruolo cardine tradizionalmente attribuito alla donna. L’uomo ha fatto la Storia, la politica, le guerre… queste sono state fino a poco tempo fa faccende esclusivamente maschili. Dopo l’evento della pillola anticoncezionale, la generazione ha smesso di essere un destino obbligato per le donne, ma una libera scelta e oggi al genere femminile è finalmente concesso di entrare nella storia.

 

La Vergine Maria

I psicologi del profondo conoscono molto bene il potere evocativo e la forza suggestiva del linguaggio immaginale (il linguaggio dell’Eros), molto più potente di qualsiasi teoria, teologia o di qualsiasi discorso razionale (Logos). In ambito religioso, per esempio, è sempre l’immagine più che la vera dottrina a creare il potere ammaliante e persuasivo di una religione. Per quanto possiamo interpretare simbolicamente ogni immagine, quel che conta è che viviamo e “respiriamo” nell’atmosfera da questa evocata e impregnata.

Immagine ricorrente nella nostra iconografia religiosa è quella della Vergine Maria nell’atto di scacciare il serpente sotto i suoi piedi. Se osserviamo meglio l’elemento “tentatore” della tradizione biblica, ci appare in tutto il suo aspetto simbolico dinamico, atto a sviluppare, ad accrescere e trasformare. Il serpente è un simbolo presente in diverse culture in relazione alle esperienze di iniziazione ai processi evolutivi transpersonali (per esempio la Kundalini) e negli antichi culti del divino femminile rappresentava la dea stessa in tutta la sua potenza generatrice.

 

 

 


La Madonna dei palafrenieri (la Madonna della Serpe). Caravaggio (1606). Galleria Borghese, Roma. 

La figura di Maria, vergine e madre (che scaccia il serpente) ha avuto non solo conseguenze psicologiche, ma anche sociali importanti per le donne: un grande tormento per le donne che perdevano la verginità (capitale simbolico) e l’imperativo a “diventare madri” senza una adeguata riflessione o desiderio. Quella di Maria è una figura in continua trasformazione: è cambiata nel tempo, si è umanizzata, è diventata nera nelle Americhe, ma c’è un limite, non diventerà mai donna, il limite è la sessualità.

Alcune delle immagini che seguono sono state proibite dalla Chiesa in quanto considerate blasfeme, nonostante venissero commissionate dai mecenati della borghesia italiana e, sfuggite al controllo ecclesiastico, sono arrivate fino a noi:

 


La madonna del parto di Bernardo Daddi (Galleria degli Uffizi, Firenze): Maria gravida porta la mano sul ventre a sottolineare il suo stato.

 


Maria che allatta di Pedro Machuca

 

 

 

 

 

 


Vergine di Melum de Jean Fouquet: “La madonna del latte”, una versione che possiamo dire “sexy” della Madonna.

La Vergine che allatta San Pietro (un adulto) di Ignazio Chacon è stata sostituita con qualcosa di più “innocuo”: La Pietà

Nella storia più recente alcune donne hanno raggiunto l’indipendenza economica, successo e notorietà all’interno dello star system, (prodotto da uomini), un sistema produttivo maschile all’interno del quale le star prestavano il proprio volto agli stereotipi e all’estetica del momento, alimentavano l’immaginario maschile e finivano per incarnare un ruolo dentro e fuori della tela: l’innocente, la sexy, la fatale, la seduttrice ecc… ruoli femminili, canone estetico e bellezza quindi, ma a volte, anche trasgressione: lottando per umanizzarsi e individualizzarsi, alcune star affermate e potenti riescono a rompere i pregiudizi e liberare loro stesse e le altre donne dagli stereotipi collettivi. Una star famosa puo scegliere il tema, la storia che vuole raccontare e gli stessi partner.

Oggi non parliamo solo di dive del cinema, ma anche di influencer che sono, in un certo senso, le loro discendenti. Una volta acquisito potere, notorietà e capacità di negoziazione, star e influencer possono invertire le regole, guidare le tendenze, provocare, affermare la propria individualità e nuovi valori femminili. Ma non sempre accade.

 

“Donna da marito”

Le favole, le tele novelas, i romanzi un tempo finivano sempre con il matrimonio. L’idea che ci veniva tramandata è che dopo il matrimonio gli sposi vivevano felici per sempre, la felicità suprema stava nella vita di coppia. Non ci veniva mai raccontato cosa accadeva qualche anno dopo il matrimonio quando l’anima gemella non era più tanto gemella: una sorta di inganno sociale che faceva sì che investissimo molta energia e aspettative nel progetto matrimoniale.

Il matrimonio non è solamente l’unione di due persone: coinvolge parenti, questioni economiche, ruoli sociali. Esiste ancora una sorta di pedagogia della buona sposa che favorisce una forma di controllo sulle relazioni intersoggettive, controllo dei sentimenti ed il mantenimento di situazioni stagnanti che impedisce il cambiamento e la nostra stessa evoluzione individuale e collettiva.

L’errore fondamentale è credere che la nostra felicità e la nostra realizzazione si trovino fuori di noi stessi. Ogni volta che ciò accade siamo destinati all’infelicità ed alla delusione. Iniziano allora le incomprensioni, i tradimenti, la sensazione di stare in “trappola”.

 

 

La ribellione femminile

 

Impossibile la reificazione della donna, impossibile considerarla alla stregua di un “oggetto”. Nonostante vengano spesso considerate dagli uomini come possesso, trofeo o risposta alle loro esigenze, le donne oggi sempre più fortemente affermano la loro soggettività, gridano le loro emozioni, pretendono il riconoscimento della loro essenza più profonda e di essere soggetti attivi della Storia.

A parlare delle donne e a scriverne fino all’ottocento sono stati quasi sempre gli uomini. Le donne che scrivevano, per essere prese in considerazione, fingevano di essere uomini come le sorelle Brontë che pubblicavano con pseudonimi maschili o Mary Shelley che ha usato il nome del marito per le sue pubblicazioni.

La prima donna scrittrice di professione di cui abbiamo conoscenza fu Cristine de Pizan (Venezia, 1365 – Monastero di Poissy, 1430 circa) scrittrice e poetessa italiana naturalizzata francese e femminista ante-litteram. Figlia di uno scienziato, medico di corte, che le offrì le stesse possibilità di accesso allo studio dei fratelli maschi, Christine de Pizan pone al centro della sua attività di scrittrice proprio la differenza di genere e attraverso la scrittura sfida lo status quo e la secolare tradizione misogina dell’epoca.


Da un sentimento di indignazione per le ingiustizie subite dalle donne, nasce la Città delle Dame (1405), una immaginaria città fortificata sull’alto di una montagna: un luogo fantastico dove le donne di ogni tempo possono trovare accoglienza e sostegno e dove vivono quelle figure femminili considerate dalla tradizione come esempi di malvagità e di vizi che la scrittrice riabilita sottolineandone la grandezza e la nobiltà d’animo. Scienziate, regine, guerriere, indovine, martiri, sante, reali o immaginarie, come Saffo, Medea, Circe, Pentesilea ecc… Christine de Pizan è consapevole che la questione di genere non è biologica ma culturale ed insiste sull’educazione come elemento fondamentale che può permettere alle donne di uscire dalla loro condizione di inferiorità.

Nel 1929, 500 anni dopo la morte di Cristine de Pizan, Virginia Woolf (Londra, 1882 – 1941), pubblica Una stanza tutta per sé, tratto da una conferenza sul tema “le donne e la scrittura” e sostiene che la creatività femminile sia ostacolata dalla rabbia e dall’indignazione delle donne verso un mondo che non concede loro espressione, rabbia e indignazione che non favoriscono la loro immaginazione creativa: “le donne non hanno mai una mezz’ora che possano chiamare propria, né 500 sterline al mese, e nemmeno una stanza tutta per sé”. Questa stanza per molte donne è stata la cucina. In questo libro considerato protofemminista, la Woolf sottolinea quanto le disuguaglianze tra uomo e donna non siano dovute a differenze genetiche bensì a ragioni di natura materiale. «La libertà intellettuale dipende da cose materiali» conclude Virginia.

Qualche anno più tardi Simone de Beauvoir (Parigi, 1908- 1986) scrittrice e filosofa afferma che “nelle società maschiliste le donne sono viste come esseri relativi che esistono solo in relazione agli uomini”. Nella sua autobiografia3 Simone racconta le tappe obbligate della sua educazione sentimentale: lo scontro (inevitabile) con la sua famiglia e con il suo l’ambiente sociale di origine: la borghesia francese, conservatrice e bigotta e descrive i vari ruoli attribuiti dal pensiero maschile alla donna: sposa, madre, prostituta, vecchia.

Simone sottolinea l’importanza e la forza dell’unione tra le donne in vista del superamento della condizione di subordinazione femminile, “le donne vivono disperse in mezzo agli uomini e la strada dell’emancipazione non può che essere collettiva”. La sua frase più celebre è: “donna non si nasce, lo si diventa”.

Un tema comune tra queste grandi scrittrici è la perdita dei punti di riferimento e la solitudine che ogni donna deve affrontare quando si dismettono i ruoli tradizionali e vengono meno tutte le certezze insieme alla sicurezza materiale. Sottolineano anche come tutto ciò possa rappresentare un nuovo inizio: il punto di partenza per una maggiore consapevolezza di se stessi ed una vita più libera e più autentica.

 

Il ritorno del rimosso

 

Ogni psicologo sa che tutto ciò che viene rimosso ritorna a galla con maggiore forza e la storia della modernità potrebbe iniziare proprio da questo ritorno del rimosso o “degli dei” come direbbe James Hillman, in questo caso l’emersione degli archetipi della Grande Madre e dell’Anima mundi nei nostri sogni, nei desideri, nell’immaginazione. Tutto inizia con l’insoddisfazione della donna, ossia con la scoperta che le donne hanno sogni, desideri, immaginazione che vanno molto oltre un marito devoto, una famiglia e una vita protetta. In altre parole, con la scoperta dell’esistenza di un desiderio tutto al femminile. È chiaro che alcuni uomini preferiscono pensare che il desiderio femminile coincida con quello necessario a perpetuare il ruolo tradizionale della donna e al mantenimento dello status quo.

La stessa maternità, una volta massima realizzazione femminile, non è più vista come qualcosa che necessariamente rende felice una donna. Oggi molte donne scelgono di non essere madri. La scoperta del desiderio femminile va quindi di pari passo con la scoperta dell’inadeguatezza e insufficienza degli uomini, mariti o figli, nel soddisfare i desideri della donna. Il desiderio femminile è qualcosa di molto più complesso e la sua comparsa implica una seria crisi di identità maschile.

Più che di donne come identità di genere o biologica, preferisco parlare del mondo femminile o principio femminile che ha un significato molto più ampio, un significato archetipico: Anima, mistero, natura, profondità, corpo, mondo interiore. Il femminile in senso ampio si rivela in tutto ciò che va oltre le apparenze, nella profondità delle cose, nella riscoperta delle emozioni, dell’intuizione, dell’immaginazione ed emerge nella ricerca dell’armonia perduta con il corpo e la natura. Il femminile si rivela ogni volta che ci apriamo alla relazione con un altro essere umano e ogni volta che si apre una porta o si abbatte un confine verbale, geografico o psicologico. Anche il termine “maschile” va oltre l’identità biologica ed è in relazione con l’aspetto razionale, con l’autorità e con il Logos. Questi due principi, femminile e maschile, vengono rappresentati simbolicamente nella raffigurazione cinese del Tao (Yang e Yin). È molto importante la relazione che ognuno di noi, maschio o femmina che sia, ha con questi due principi fondamentali. In questo senso una donna può essere definita maschile se è dominata dalla dimensione razionale, egoica (il Logos) e un uomo è femminile se è in relazione con la propria dimensione interiore, emotiva, intuitiva (l’Anima).

La famosa frase latina di origine medioevale Mors tua, vita mea è rappresentativa dell’atteggiamento maschile che domina incontrastato nel mondo moderno: “la mia vittoria equivale alla tua sconfitta e solo uno di noi, il vincitore, potrà sopravvivere”. Lo stile relazionale delle donne, più solidale rispetto a quello maschile, tende a cancellare confini e differenze e a produrre una società più equilibrata ed armonica. L’antropologa Margareth Mead esprime nella frase: “Vita tua, vita mia” un atteggiamento opposto al motto maschile dominante, l’unico, secondo la celebre antropologa, che può garantire la sopravvivenza della nostra specie. Sappiamo che la solidarietà umana è una modalità relazionale molto più evoluta dell’aggressività ed ancora una volta l’Anima mundi e la sua forza evolutiva parlano per bocca di una donna.

Come ci ricordano le favole magistralmente analizzate da Marie Luise Von Franz4, la donna che è in sintonia con la propria natura fa germogliare il mondo intorno a sé: è catalizzatrice di sentimenti, emozioni, creatività, evoluzione. Mentre la donna che ha tradito la propria natura femminile produce intorno a sé l’effetto di un vento di morte che inaridisce il mondo intero. La voce femminile è la voce “dell’anima”, e “buono” per l’anima è tutto ciò che sta dalla parte della vita, che la protegge e la incoraggia, “maligno” è ciò che la opprime, la trattiene e la soffoca. Nell’ottica femminile la coscienza è il richiamo verso noi stessi, per diventare quello che potenzialmente siamo e “partecipare adeguatamente” al mondo in cui viviamo.

Il principio femminile emerge fra le pieghe di un volto triste, nel lampo degli occhi, in un sorriso sfuggente. Emerge nel linguaggio “corporeo” e “immaginale” ed ogni volta che riusciamo a scorgere ciò che sta “sotto” o al di là della parola, ogni volta che ci apriamo alla comunicazione autentica e alla relazione. Il femminile si manifesta nella ricerca della “grazia”, così come la definisce Alexander Lowen5, nella ricerca dell’armonia perduta con il corpo e la natura.

Uscire dalla prigione dei ruoli e stereotipi da sempre assegnati al mondo femminile e incarnati nel corpo, non è cosa facile. La donna che cerca uno spazio di espressione e la propria identità è chiamata ad una profonda introspezione, ad attraversare la solitudine ed il crollo di ogni certezza nella ricerca del suo vero volto oltre le manipolazioni, i ricatti e le aspettative della collettività. Le donne che oggi possono entrare nella storia fatta dagli uomini, non devono diventare come uomini, ma sono chiamate a cambiare la società.

 

Sophia

Nei sogni e nell’immaginazione dell’essere umano contemporaneo stanno emergendo intuizioni e si stanno risvegliando antichi miti e simboli dimenticati. Uno tra i più emblematici è il mito dell’anima mundi: l’idea che il mondo sia una realtà animata e unitaria in stretta connessione con l’anima individuale di ciascuno di noi. L’anima mundi nella descrizione di Plotino proviene dall’anima superiore ed è allo stesso tempo in contatto con il mondo materiale e con la sfera divina e rappresenta il principio unificante e vitalizzante della totalità del cosmo. Un contenitore psichico universale comune a tutti gli esseri umani, in stretta relazione con l’inconscio collettivo, descritto da Jung come popolato da archetipi: potenzialità esistenziali/esperienziali rappresentate da figure primordiali che assolvono la funzione che un tempo apparteneva agli dei, ai daimon, agli angeli. Per questo siamo in grado di “ricordare” e questi nostri “ricordi” del mondo superiore, le antiche divinità che ci abitano, ci chiedono disperatamente di essere riconosciute, espresse, rappresentate.

Sophia, il volto femminile di Dio era onorata dagli gnostici, i cristiani dalle origini, che la adoravano. Jung è stato un grande studioso dello gnosticismo e la sua psicologia tiene in gran conto lo sviluppo del principio femminile nell’uomo così come il contatto con Il mondo invisibile, il mondo di Sophia, degli archetipi, dei sogni, dell’immaginazione.

Maria Maddalena

Questo risveglio del mondo interiore e la tendenza al recupero del femminile nei sogni, nell’arte, nel cinema e nella letteratura si sta manifestando in modo evidente, ma in un senso molto ampio che va al di là della sola “liberazione della donna” di matrice femminista. È una rivoluzione soprattutto psicologica di recupero della sensibilità, dell’intuizione, della meraviglia, dell’Unione e del rispetto della Natura. L’emancipazione del femminile, rivendicata quindi non solo in ambito sociale ma a un livello più profondo come Anima mundi: l’esigenza e la tensione verso una profonda trasformazione dei simboli del nostro tempo (“una metamorfosi degli dèi”, avrebbe detto Jung), una trasformazione, in questo caso, della donna inconscia, archetipica, dentro di noi.

Tutto ciò è naturalmente degno dell’interesse degli psicologi del profondo e richiede una sua corrispondente rappresentazione metafisica, una nuova immagine archetipica di “donna divina”, potente ed integra, un’immagine di donna sessualizzata: un esempio è la figura di Maria Maddalena così come appare nel film Il codice da Vinci tratto dall’omonimo libro di Dan Brown. Considero questi tentativi, a volte maldestri, estremamente significativi dal punto di vista psicologico in quanto rappresentano la necessita di una nuova immagine archetipica di donna non più immacolata – Maddalena, complementare rispetto a Maria, incarnata e sessuale, è un ponte che apre il cammino per un cambiamento: il potenziamento del femminile. Oggi il protagonismo è della trasgreditrice, la donna non più come agente passivo, ma come ribelle e resistente. In seguito riporto il sogno di una analizzanda di 34 anni, scritto di suo pugno e intitolato da lei stessa: “duello tra il sacerdozio maschile e il sacerdozio femminile”:

Il sogno inizia su un ampio spazio sopra la grande scalinata che porta ad una Chiesa. Dall’alto della scalinata da sinistra entra un fila di donne. Davanti come una leader si trova la madrina del corso di ostetriche tradizionali di mia sorella, c’è anche mia sorella.

In un ampio spazio più in basso si trovano un gruppo di sacerdoti cattolici. Il leader è un sacerdote dai capelli grigi che sta davanti al gruppo ed io sto accanto a lui.

Mia sorella e le altre donne vogliono che i valori femminili sostituiscano ora i valori maschili. La leader delle donne è in silenzio in tutta la sua saggezza e autorità. Anch’io lo desidero ma ho una visione più realistica, vedo che ci sono poche aperture e dico che questo cambiamento nel mondo sarà una disputa e un processo molto lungo perché la società non è ancora aperta.

Solo quando le donne avranno un’arma di guerra spirituale molto potente come un cannone che scuoterà il mondo allora il cambiamento potrà essere più rapido. Quando io parlo questo l’arma inizia a delinearsi nello spazio circostante, come una visione, dinanzi al sacerdote leader. E’ come un quadro grande più alto e più largo di una persona che inizia ad essere riempito da sfere argentate. Le sfere si organizzano come in una matrice, si accendono e si solidificano da destra in basso verso sinistra e verso l’alto. Però a sinistra c’è una parte che è ancora vuota, nella quale le palline si accendono ma non si solidificano e ciò significa che l’arma non è ancora pronta.

La visione poi sparisce. Il sacerdote leader è un uomo buono e lui è favorevole al cambiamento, ma spiega che in percorso deve essere compiuto lentamente. Lui piange. Io piango.

 

La riscossa del Femminile

Dopo la seconda guerra mondiale, quando Jung iniziò a lavorare privatamente come analista, molti dei suoi pazienti erano donne in crisi perché non potevano sposarsi e non trovavano un ruolo o un proprio spazio nella società. Un complesso materno positivo ed un atteggiamento accogliente verso le donne resero Jung particolarmente sensibile a queste problematiche femminili che lo portarono a sviluppare una psicologia/filosofia incentrata sui valori femminili che dà grande rilievo al sentimento e al cuore. Jung era perciò, naturalmente circondato da donne, le quali sono spesso molto accoglienti verso le nuove idee.

Anche per Pierre Teilhard de Chardin, grande teologo, scienziato, filosofo e mistico, il femminile, anzi l’«Eterno Femminile », come lui, sulla scia di Goethe, amava chiamarlo, occupa un posto centrale nella sua filosofia. La sua è una grande opera di integrazione che cerca di superare antiche scissioni.

«Nulla si è sviluppato in me se non sotto uno sguardo o sotto una influenza di donna». Così scrive Teilhard de Chardin, in Il cuore della materia6, la sua autobiografia.

“L’Eterno femminino” di Teilhard de Chardin ci offre una visione più ampia e profonda della donna e sottolinea il suo ruolo fondamentale all’interno della creazione come energia unificante che attraversa tutto l’esistente: dagli esseri viventi alla pietra fino al rapporto tra l’uomo e la donna. l’Eterno femminile come elemento determinante nell’evoluzione umana che si manifesta non solo nella donna, ma in ogni essere umano (maschio o femminina che sia), nel cosmo, in tutta la realtà: «l’amor che move il sole e l’altre stelle». E’ forte in lui l’influenza di Dante e Teilhard dedica a Beatrice il suo splendido poema L’Eterno femminile (1918):

«Ab initio creata sum. Sono apparsa fin dalle origini del Mondo. Prima dell’inizio del tempo sono uscita dalle mani di Dio. / Sono l’aspetto congiuntivo degli esseri, – il profumo che li trascina e li fa accorrere liberamente, appassionatamente, sul cammino della loro unificazione. / Tutto si muove e si coordina grazie a me. / Sono il fascino diffuso nel Mondo affinché si unifichi, – l’Ideale sospeso al di sopra di esso per farlo andare verso l’alto. / Sono l’essenziale Femminino ». 

Il poeta Rainer Maria Rilke (1865)7 nei suoi scritti sottolinea il grande “compito dell’amore” tra due esseri umani – e non solo tra maschio e femmina. A ventinove anni, nei primi novecento, dopo il suo matrimonio con Clara Westhoff, scultrice, allieva di Rodin, Rilke in Lettere ad un giovane poeta8 scrive:

“Le istanze che il difficile lavoro dell’amore pone al nostro sviluppo sono smisuratamente grandi, e noi, da principianti, non siamo all’altezza. Ma se resistiamo e prendiamo su di noi questo amore come fardello e tirocinio, invece di perderci in tutto quel gioco frivolo e lieve dietro cui gli uomini hanno eluso la più seria serietà della loro esistenza, allora forse un piccolo progresso e un certo sollievo saranno percettibili a coloro che verranno molto dopo di noi; Questo progresso trasformerà […] l’esperienza dell’amore, che adesso è piena di errore, la cambierà dalla radice, la muterà in una relazione che è intesa da uomo a uomo, non più da maschio a femmina. E questo amore più umano (che si compirà infinitamente attento e lieve, e buono e chiaro nel legare e sciogliere) somiglierà a quello che noi lottando e con fatica andiamo preparando, l’amore che consiste in questo: che due solitudini si proteggano, si limitino e si inchinino l’una dinnanzi all’altro.”

 

Il mito

Come ci racconta uno splendido mito di Bahia, la dea Iemanjà che vive in fondo al mare canta…9 e con la sua voce sensuale ammalia e richiama tutti gli uomini verso le acque profonde. Questo richiamo è il richiamo dal mondo interiore. La donna, come la follia, affascina l’uomo da sempre per la sua profondità: un abisso che toglie il fiato e fa venire le vertigini, per la sua fecondità, per le sue imprevedibili possibilità. È sempre lei a scalfire la maschera e svelare il volto occulto della verità. La donna, come la follia, affascina perché è Sapienza. Per Gerolamo Cardano (secolo XVI) “la saggezza come ogni altra materia preziosa, deve essere strappata alle viscere della Terra”.

Nelle viscere della Terra, così come nella Donna è racchiusa l’“intenzione” del seme: è nella donna che la natura umana esprime il progetto di tutte le uova e di tutte le ghiande e indica la via che porta al di là di se stessa. “La verità è femmina”, afferma Nietzsche, ma la verità fa paura: per accedere ad essa gli uomini debbono combattere una difficile battaglia contro i loro “draghi”, una battaglia non sempre possibile.

Alcune religioni ammettono la possibilità di risanare la frattura operata dalla coscienza tra i principi Femminili e Maschili in noi attraverso l’esperienza del sacro. Accettare questa sfida, la sfida della trascendenza, provoca quel tipo di crisi spirituale che porta l’uomo alla paura religiosa, a quel sentimento di terrore dinanzi al “mysterium tremendum” descritto da Rudolf Otto10. Erich Neumann nel suo libro La Grande Madre11 utilizza l’espressione simbolica “incesto uroborico” per definire questa tendenza dell’io e della coscienza a dissolversi, un desiderio di morte che ha una dimensione profondamente amorosa ed erotica: una pulsione primordiale della natura umana che si manifesta attraverso l’attivazione dell’archetipo della Grande Madre, come descritto nel mito di Iemanjà – che può essere visto come un richiamo di tipo spirituale – soprattutto oggi con il ritorno della Dea nei nostri sogni e immaginazione.

 

Una difficile riconciliazione

Nella esperienza quotidiana cerchiamo sempre di sottoporre le nostre esperienze al vaglio della ragione e di “controllare” la realtà nella quale viviamo, una forma di difesa dalla paura di vivere, ma l’immaginazione e i sogni, liberi dai vincoli della ragione, fanno emergere particolari immagini che agiscono come contenitori di opposti: il simbolo mediatore. Nell’alchimia L’Ermes/Mercurio è “L’argento vivo”, lo spirito nascosto nella materia, il grande conciliatore di tutti gli opposti: solido e liquido contemporaneamente, materia eppure spirito, freddo e “fuoco”, veleno eppure pozione curativa. Come scrive Jung in Psicologia e Alchimia12, “Ermes era il dio della comunicazione: attraverso la metafora e i simboli guidava l’anima nel viaggio mistico e psicologico verso l’unificazione dell’elemento maschile con quello femminile”.

Un grande mediatore è, da sempre, l’amore che unisce due esseri umani che è anche contemporaneamente il grande traduttore di quel linguaggio non verbale, ignoto a molti, non codificabile con gli strumenti della ragione. Innamorarsi significa stare “qui e là” contemporaneamente, aprirsi alla follia di trascendere se stessi. Chi entra in una storia d’amore non esce mai come prima, qualcosa accade in mezzo alla tempesta dei sentimenti, qualcosa il cui fine ultimo è ricucire la lacerazione e ricomporre l’antica unità. In questo senso l’amore è maieutico e catalizzatore di profonde trasformazioni.

Come ci ricorda Aldo Carotenuto occorre coraggio per “cadere in amore” (to fall in love), per scrollarci di dosso le nostre false identificazioni e aprirci alla trascendenza. L’amore per Carotenuto esula dalla relazione uomo-donna ed entra anche nel setting, dove, secondo l’autore di “Eros e Pathos”, costituisce la sostanza stessa della terapia.

Secondo Jung, il rifiuto sistematico dell’aspetto femminile in noi stessi, scompensa la vita psichica non solo a livello individuale, ma anche collettivo e ci fa ammalare. Quel femminile che lui stesso affrontò nella sua drammatica immersione in quella dimensione interiore profonda descritta nel Libro rosso che più tardi chiamò “inconscio collettivo”. Jung aveva profetizzato un cambiamento epocale della psiche contemporanea: una coniunctio oppositorum tra il principio maschile/razionale dominante e quello femminile/emotivo/animico che si sarebbe rafforzato sempre di più, affermandosi nella nostra cultura. Ogni donna (e ogni uomo) che siano in armonia con la propria essenza femminile, così come ogni neonato, sono rivoluzionari potenziali.

Secondo Richard Tarnas13 Il desiderio più profondo sepolto nell’inconscio dell’uomo moderno sarebbe quello di trascendere questo eterno conflitto e sanare la profonda frattura interiore. Questa trasformazione è sempre stata, secondo Tarnas, la meta recondita di tutto lo sviluppo intellettuale e spirituale dell’occidente.

E’ solo attraverso l’unione profonda tra il maschile e il femminile in noi, “nel mare profondo”, come descritto nel mito, cioè intrapsichica, che possiamo unire e integrare tutti gli opposti presenti in ognuno di noi (il mysterium coniunctionis junghiano). Ogni esperienza vissuta o anche sofferta durante questa via ha un significato che va molto al di là della dimensione fisica e rappresenta un insostituibile stadio della nostra evoluzione spirituale.

ABSTRACT

Il risveglio del mondo interiore e la tendenza al recupero del femminile nei sogni, nell’arte, nel cinema e nella letteratura si sta manifestando in modo evidente, ma in un senso molto ampio che va al di là della sola “liberazione della donna” di matrice femminista. È una rivoluzione soprattutto psicologica di recupero della sensibilità, dell’intuizione, della meraviglia, dell’Unione e del rispetto della Natura. L’emancipazione del femminile, rivendicata quindi non solo in ambito sociale ma a un livello più profondo come Anima mundi: l’esigenza e la tensione verso una profonda trasformazione dei simboli del nostro tempo (“una metamorfosi degli dèi”, avrebbe detto Jung), una trasformazione, in questo caso, della donna inconscia, archetipica, dentro di noi.

ABSTRACT IN INGLESE

 

The awakening of the inner world and the trend toward the recovery of the feminine in dreams, art, film, and literature is manifesting itself clearly, but in a very broad sense that goes beyond just feminist-drivenwomen’s liberation.” It is primarily a psychological revolution of recovering sensitivity, intuition, wonder, union and respect for Nature. The emancipation of the feminine, claimed therefore not only in the social sphere but on a deeper level as Anima mundi: the need and tension toward a profound transformation of the symbols of our time (“a metamorphosis of the gods,” Jung would have said), a transformation, in this case, of the unconscious, archetypal woman within us.

PAROLE CHIAVE: maschile/femminile, completezza, integrazione, femminile perturbante, Cristine de Pizan, Virginia Wolf, Simone de Beauvoir, C. G. Jung, Iemanjà, Vergine Maria, Streghe

KEE WORDS: masculine/feminine, wholeness, integration, perturbing feminine, Cristine de Pizan, Virginia Wolf, Simone de Beauvoir, C. G. Jung, Iemanja, Virgin Mary, Witches

AUTORE

Virginia Salles ha studiato psicologia alla Sapienza, Roma, dove vive e lavora. Psicoterapeuta individuale e di gruppo, di formazione junghiana è specializzata in e respirazione olotropica con Stanislav Grof. E’ autrice dei libri Agua scura edito da Di Renzo Editore, 2005; Mondi invisibili. Frontiere della edito da Alpes Italia srl, 2013; Spazi oltre il confine. Temi e percorsi della psicologia del profondo tra C. G. Jung, Stanislav Grof e la Cabalà (Alpes Italia, 2015) e di numerosi articoli sulla psicologia analitica e transpersonale (sito web: www.virginiasalles.it).

AUTHOR

Virginia Salles, born in Bahia, Brazil, has study psychology in Rome, where she currently works and studies. An individual, and group, Jungian therapist, she has specialised in transpersonal psycholotherapy, and holotropic breathing with Stanislav Grof. Author of “Agua scura” published by Di Renzo Editore, 2005, “Mondi invisibili. Frontiere della psicologia transpersonale” published by Alpes Italia, 2013, and “Spazi oltre il confine. Temi e percorsi della psicologia del profondo tra C. G. Jung, Stanislav Grof e la Cabalàpublished by Alpes Italia, 2015, and of numerous articles on anatiytical and transpersonal psychology. (web site: www.virginiasalles.it).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. H. Institor (Krämer), J.Sprenger, Il Martello delle streghe, Spirale, Milano, 2006, p. 13

     

  2. Grof S., Oltre il cervello, Cittadella Editrice, Assisi, 1988

     

  3. S. de Beauvoir, Memorie d’una ragazza perbene; La forza dell’età; La forza delle cose; A conti fatti

  4. M. L. von Franz, Le favole interpretate, Bollati Boringhieri, Torino, 1980

  5. A. Lowen, La spiritualità e il corpo, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1991

  6. P. Teillhard de Chardin, Il cuore della materia, Queriniana, Brescia, 2007

  7. R. M. Rilke, Lettere a un giovane poeta, Adelphi. Milano, 1980

  8.  

  9. Gli uomini coraggiosi che ascoltano il richiamo di Iemanjà e “muoiono nel mare, lottando contro i flutti”, possiedono la Dea e viaggiano con Lei nelle terre senza fine e conoscono “tutti i segreti del mondo”.

     

  10. R.Otto R. , Il sacro, Editore SE, Verona, 2009

  11. Neumann E., La grande madre, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1981

     

     

  12. C. G. Jung. Psicologia e Alchimia, Bollati Boringhieri, Torino, 2006

  13. Tarnas R. (1991), A epopeia do pensamento ocidental, Bertrand Brasil, Rio di Janeiro, 2001, p. 468, T.d.A.