Il mondo perduto di Pan

Virginia Salles, Roma

Pan, il grande Pan, era un dio potente, legato alla foresta selvaggia, era il dio della Natura: di quella esteriore e di quella interiore e in quanto tale, aveva la funzione di collegamento e di protezione della vitalità e dell’unità di tutto ciò che esiste.

L’avvento della rivoluzione scientifica con la sua visione meccanicista del mondo e le sue “certezze assolute”, ha decretato la morte di Pan e segnato la fine tragica della nostra percezione di una natura animata: le pietre divennero pietre; i fiori solamente fiori, la pioggia… pioggia, sotto le lenti implacabili della scienza. Il dio Pan sprofondò allora negli strati più sotterranei del nostro mondo interiore per acquisire, infine, sembianze demoniache.

 

Questo stato di “caduta”, in un certo senso ha determinato il destino dell’Occidente ed ha prodotto il mondo come lo vediamo oggi e l’essere umano che conosciamo.

Per Jean-Jacques Rousseau siamo ostaggi di una società che ci aliena da noi stessi, coperti da sovrastrutture artificiali generate da un’educazione che opprime e distrugge la nostra natura originaria che non è la ragione ma la spontaneità l’istinto ed il sentimento. Il motivo dominante dell’opera di Rousseau fu infatti il contrasto tra l’uomo naturale e l’uomo artificiale e il riconoscimento di quest’ultimo come “causa” della nostra infelicità. Il nostro compito di esseri umani sarebbe quindi quello di riallacciare il legame perduto con la terra, fondamentale per lo sviluppo fisico e spirituale dell’uomo.[1]

Nonostante questa implacabile “evoluzione”, descritta da Rousseau, all’interno dello stesso processo storico, stanno emergendo intuizioni di segno opposto e si stanno risvegliando antichi miti e simboli dimenticati. Uno tra i più emblematici è il mito dell’anima mundi: l’idea che il mondo sia una realtà animata e unitaria in stretta connessione con l’anima individuale di ciascuno di noi. L’anima mundi nella descrizione di Plotino proviene dall’anima superiore ed è allo stesso tempo in contatto con il mondo materiale e con la sfera divina e rappresenta il principio unificante e vitalizzante della totalità del cosmo. Questo contenitore psichico universale comune a tutti gli esseri umani, è in stretta relazione con l’inconscio collettivo, descritto da Jung come popolato da archetipi: potenzialità esistenziali/esperienziali rappresentate da figure primordiali che assolvono la funzione che un tempo apparteneva agli dei, ai daimones, agli angeli. Per questo siamo in grado di ricordare e questi nostri “ricordi” del mondo superiore, le antiche divinità, ci chiedono disperatamente di essere riconosciute, espresse, rappresentate.

Ora sembra che stia rinascendo una sensibilità nuova che si muove in questa direzione e la sofferenza, per il venir meno del contatto profondo tra l’uomo e la propria natura sta aprendo la strada ai miti sotterranei che dalle profondità dell’anima attivano i sogni e l’immaginazione dell’uomo contemporaneo.

Per uscire dall’attuale crisi epocale, oltre che alla scienza, l’umanità sta rivolgendo l’attenzione a quel mondo dimenticato, alla ricerca di nuove fonti di ispirazione e di nuove soluzioni all’emergenza globale. I principi fondamentali delle nostre antiche tradizioni sapienziali si basano sulla consapevolezza non solo della stretta relazione fra l’uomo e la natura, ma soprattutto della continua comunicazione fra mondo esterno e mondo interno o sul concetto di “coscienza planetaria” ‒ la presa di coscienza del nostro destino, non solo come esseri umani, ma come parti di qualcosa di molto più ampio che possiamo definire come una sorta di “piano generale”.

 

Nel suo libro libro Nelle terre estreme, portato sul grande schermo nel 2007 con la regia di Sean Penn, dal titolo Into The Wild, Jon Krakauer racconta la storia vera di Christopher McCandless, un ragazzo anticonformista che rinuncia al confort di una vita borghese per immergersi nella natura selvaggia. Autentica celebrazione di quella esasperata ricerca della natura perduta che in fondo all’anima appartiene a tutti noi, il film di Penn ci inquieta, ci rattrista, ma ci regala anche momenti di pura meraviglia che ricordano alcuni brani scritti da Ralph Waldo Emerson (1836), nel suo famoso libro Natura: “La Natura non veste mai una mediocre apparenza. Né l’uomo più saggio può strapparle i suoi segreti”[2].

Il tema della fuga dal confort e dalla civiltà, il coraggio di operare una scelta radicale come quella di abbandonare la vita di tutti i giorni, ma soprattutto l’inseguimento di qualcosa che ci riporti a noi stessi è il leitmotiv degli scritti di Henry David Thoreau (1817-1862), ecologista ante litteram e, insieme a Emerson, icona del pensiero ambientalista.

Il suo famoso libro Walden o la Vita nei boschi (1854), libro cult della consapevolezza ambientalista, è un manifesto contro l’inerzia etico-morale della società americana dell’epoca, esasperatamente materialista, e allo stesso tempo una dettagliata descrizione del ritorno dell’autore nel grembo della Natura. Thoreau, chiamato a “marciare al suono di un tamburo diverso”, come Christopher McCandless, il protagonista del libro di Krakauer, compie una scelta radicalmente opposta ai valori e ideali di una società nei confronti della quale si sentiva “alienato fra i suoi simili”.

Jung ci ricorda che ogni anima deve percorrere un processo di individuazione, cioè divenire ciò che è, sotto la guida del proprio daimon per compiere pienamente il suo destino di essere umano. Siamo artificiali nella misura in cui siamo “separati” e la fonte di tutta la nostra sofferenza sarebbe quindi la conseguenza di questa separazione e della nostra visione parziale, lontana appunto dalla saggezza in quanto visione totale, progetto integrale: una conseguenza del nostro stato di non integrazione tra noi stessi e con la Natura.

Ciò che oggi definiamo “la coscienza planetaria”, secondo le nostre tradizioni sapienziali, non è una caratteristica dell’essere umano evoluto, ma è in realtà ‒ come ci descrivono anche studiosi moderni come Gregory Bateson o Arne Naess ‒ la pura essenza della Natura.

Siamo abituati a considerare la coscienza umana attuale che è quella che noi percepiamo con i nostri cinque sensi, come “normale”; tutto il resto sembra provenire dal regno “dell’immaginazione”. La nostra percezione arriva lì dove finisce la nostra pelle e le idee di una nostra appartenenza a qualcosa di molto più ampio, nel quale siamo tutt’Uno, ci appaiono come cose straordinarie. Se però approfondiamo la nostra ricerca e analizziamo la storia delle civiltà e le idee di altri tempi, possiamo osservare che è vero esattamente il contrario: il nostro pensiero frammentario e meccanicista sviluppato negli ultimi secoli con la sua visione riduttiva del mondo, visione che oggi dimostra le sue falle, non è la regola, ma l’eccezione!

Il problema attuale più urgente, che attanaglia l’umanità, è il ripristino dell’integrità dell’ecosistema ormai disfunzionale. Dobbiamo ricordare che questa integrazione è prima di tutto intrapsichica, è l’equilibrio tra quelle parti di noi che definiamo “io e inconscio” o “corpo e anima”, che hanno avuto negli ultimi secoli uno sviluppo unilaterale. La nostra esasperata predilezione per gli aspetti razionale/egoici opprime e distrugge la nostra natura originaria che non è la ragione ma, come sostiene Rousseau, è la spontaneità, l’istinto ed il sentimento. Parafrasando Paracelso, “come dentro, così fuori”. Il vero dono offerto dall’immersione nella Natura è la presa di coscienza dell’Insieme: di quell’occulta relazione tra l’uomo e la vegetazione, tra l’uomo e gli animali, tra l’uomo e la Natura tutta. Eppure, questo sentimento di appartenenza che è pura gioia e questa consapevolezza, non appartengono alla Natura, ma all’uomo stesso in quanto parte di essa, anzi all’armonia tra l’uomo

[1] J. J. Rousseau, Emilio o dell’educazione, Edizioni Studium, Roma, 2016

 

[2] Emerson, R.W., Natura, Donzelli Editori, Roma, p. 22.