Mercanti di corpi, dissipatori d’anima
di Virginia Salles, Roma
(Estratto)
Abstract
E se abbiamo il desiderio angoscioso della durata di quell’essere destinato a perire, abbiamo ugualmente l’ossessione di una totalità originaria, che ci unisca all’essere complessivo. La nostalgia di cui parlo… è la nostalgia che comanda in ogni uomo le tre forme di erotismo: l’erotismo dei corpi, l’erotismo dei cuori e l’erotismo sacro.
(Georges Bataille)
Dove finisce la solitudine, là comincia il mercato, e dove comincia il mercato, là comincia anche il chiasso dei grandi commedianti e il ronzio delle mosche velenose.
(Nietzsche)
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Questa confusione, e in un certo senso “sovversione” di definizioni e valori, ci fa riflettere su “cosa” sia in realtà l’identità di una persona e “cosa” la definisca: dove si trova lo specchio? Nel mondo attuale nel quale il valore di ogni cosa, o quasi, può essere quantificato in denaro, possiamo osservare perplessi ciò che Georg Simmel, nel suo libro Il denaro nella cultura moderna, definisce “l’abnorme sovvertimento teleologico” dei mezzi che acquistano sempre più valore dei fini. Così come il conseguente predominio dell’oggetto sul soggetto, del “fuori” sul “dentro” che va di pari passo col crescente aumento dei nostri bisogni e consumi. Dal momento che le cose situate al di fuori del nostro nocciolo, della nostra intima essenza, s’impadroniscono del nostro centro e di tutto noi stessi, divenendo la fonte della nostra identità e gratificazione, l’anima scacciata e smarrita non ritrova più la sua dimora. La nostra fonte di nutrimento interiore, “perforata dentro”, si secca, creando, nell’espressione di Carla, “un immenso cratere vuoto”. Il divario psicologico tra l’interno e l’esterno, tra la pianura, la superficie degli eventi e la nostra interiorità si perpetua così all’infinito e accelera l’inevitabile metamorfosi che da esseri umani ci trasforma in automi, in gusci vuoti. La cultura oggettiva, sempre più estranea rispetto alla nostra realtà soggettiva, finisce per suscitare quel profondo senso di sfiducia e sconfitta che tutti conosciamo e la percezione di un pericolo incombente, il pericolo di venir svuotati della propria essenza, privati del nocciolo, livellato e consumato dallo stesso meccanismo che ci offre le più salde sicurezze e le più magnifiche conquiste. Quando una donna serba nell’intimo la convinzione di non valere e l’autostima raggiunge livelli infimi o è addirittura inesistente, è portata a pensare che il proprio corpo sia l’unica cosa desiderabile e donabile di sé, l’unica cosa degna di attenzione.
L’identità di Carla e il suo valore venivano definiti da una cifra pagata per una “prestazione sessuale” eseguita da un corpo utilizzato come strumento di produzione, un corpo degradato alla condizione di puro mezzo. Prestazione che esige la totale alienazione di se stessa e del proprio sentire. Non importa da chi o da cosa sia definito il suo valore, non importa nemmeno se viene mortificata la sua anima e prosciugata la sua fonte interiore, quel che conta è che la valutazione, nei parametri del denaro, risulti elevata ai suoi occhi e quindi lusinghiera. Tale condizione umana assomiglia a quella del criceto che gira nella ruota, un’escalation senza fine, un dissetarsi con acqua salata, un perseguire una meta che esige il perseguimento di un’altra meta, un aggrapparsi a qualcosa che l’implacabile scorrere del tempo rende impalpabile come la sabbia che scivola tra le dita… Il “peccato”, nel senso greco del termine, così come veniva riferito al tiro con l’arco – quando l’arciere mancava il colpo e non riusciva a raggiungere il bersaglio – nel caso di Carla, è il peccato di barattare la propria intima essenza con le cose del mondo, baratto questo che lentamente si trasforma in una stretta, in un cappio soffocante intorno al proprio collo. Simmel ci parla di un’analogia fatale tra l’essenza della prostituzione che esclude da sé qualsiasi coinvolgimento personale nel rapporto tra i sessi e l’essenza del denaro: “il solo equivalente per tutti i molteplici oggetti che esprime le differenze qualitative delle cose in termini quantitativi”. Nei confronti del denaro non si chiede mai “che cosa” in realtà “vale”, la sua qualità si relaziona esclusivamente con la sua quantità così come ad una prostituta non viene mai chiesto “chi sei?” In questo consiste l’aspetto più tragico della prostituzione: un corpo ridotto a puro mezzo, carne ridotta a merce, diviene l’equivalente di qualsiasi corpo. L’antichissimo mestiere della prostituta era già diffuso tra i popoli primitivi, là dove il singolo individuo non era ancora chiaramente differenziato dalla collettività. Con la successiva evoluzione della coscienza verso una sempre maggiore differenziazione, la crescente tendenza-pulsione verso l’individuazione e l’introduzione del sistema monetario, questo mestiere ha acquisito un più profondo e complesso significato psicologico. Secondo la filosofia tradizionale le categorie di bene e male non hanno una base oggettiva nel mondo, sono concetti puramente soggettivi. Ma nella più moderna visione che le nuove scienze di frontiera ci offrono di un cosmo nuovamente spiritualizzato, così come descritto per esempio da Ervin Laszlo, il bene e il male riemergono come categorie etiche-morali e si ipotizza una loro base obiettiva: “Bene” sarebbe ciò che dà energia al processo evolutivo ed è “maligno” tutto ciò che lo trattiene e lo soffoca. Quindi ogni nostra scelta avrebbe così una dimensione etica-morale, dal momento che può promuovere o ostacolare l’evoluzione individuale e collettiva. Scrive Simmel, “solo quello che è individuale è distinto, ciò che è uguale ai più è pari alla più bassa di tutte le cose e trascina dunque anche ciò che è più eccelso al livello di ciò che è più basso”1. Il denaro e la prostituzione sono “volgari” ed in un certo senso “maligni”, in quanto rimangono i più spietati strumenti livellatori. L’intrinseca negazione dell’individualità esercitata dal traffico economico, e da quello corporeo, disconferma quindi qualsiasi distinzione e sovverte la naturale pulsione evolutiva in direzione opposta al suo potenziale divenire, riportando dunque l’essere umano a una condizione di minore differenziazione, a uno stadio precedente e già superato della scala evolutiva.
La nostra sottile sensibilità per le caratteristiche più specifiche e individuali delle cose, sostiene Simmel, viene ottenebrata, soffocata, dall’azione omologante del traffico economico e non reagisce più alle peculiarità delle cose con un’adeguata gradazione o sfumatura e le percepisce invece tutte “simili”, sbiadite, smunte.… Quante più cose vengono così scambiate e circoscritte all’interno del sistema economico, tanto più esse vengono private del proprio colore e della propria unicità. Il denaro non può venir messo in relazione con ciò che è particolare ed eccezionale nell’esperienza e nelle interazioni umane, con tutte quelle situazioni nelle quali è necessario toccare l’essenza intima della persona. Nel mondo regolato dallo scambio monetario tutto ciò che è vivo e il suo significato sembrano scivolare continuamente via dalle mani, svuotati drasticamente del proprio nocciolo, del proprio valore intrinseco e della propria specificità. L’uomo moderno, sempre più vittima di un lento e inesorabile processo di alienazione che pervade tutto il suo essere, sembra girare a vuoto senza un appiglio, una bussola interiore che segnali “il centro”, un punto di riferimento definito e stabile. In balia della struggente nostalgia per qualcosa che ancora non “è”, e incapace di afferrare l’essenza e il significato del momento presente, sprofonda sempre di più nel tormento, nel dubbio e nella disperazione.
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Denaro e sesso sono sempre stati intimamente connessi, ma la sessualità nella sua espressione più elevata è spiritualità:
“…è la realtà del più profondo e completo orgasmo sessuale, della grande esperienza religiosa e della meraviglia della primavera e della nascita. È la realtà che sfiora i misteri della vita…” 2.
L’eros sta alla radice di tutto ciò che è creazione e bellezza, di tutto ciò che è divino: il samadhi è l’espressione suprema dell’energia sessuale. Nella letteratura spirituale d’oriente, nel Tantra per esempio, il divino è considerato qualcosa di estremamente erotico e la sessualità viene riabilitata all’interno di una dimensione sacra, analogamente a quanto già accadeva presso molte antiche civiltà. La pratica del tantra, la cui filosofia esprime un assenso incondizionato alla vita in tutte le sue manifestazioni, ha come principio fondante l’esistenza di qualcosa di molto più elevato nella natura umana, la cui piena realizzazione è beatitudine.
Esiste, come sottolinea Simmel, una somiglianza psicologica tra l’idea di Dio e la rappresentazione del denaro nella nostra cultura. Il pensiero di Dio trova la sua essenza più profonda, secondo questo autore, nel fatto che tutte le diversità e le contraddizioni del mondo trovano in esso la propria armonia e conciliazione, l’unità di tutti i contrasti (coincidentia oppositorum). Da questa unità e dai suoi simboli scaturiscono la pace, la sicurezza, la ricchezza. Questi sono gli stessi sentimenti di certezza e tranquillità che vengono procurati dal possesso del denaro. Il denaro, a sua volta, ha come caratteristica principale quella di trasformarsi sempre di più nell’espressione e nell’equivalente di tutti i valori raggiungendo un livello di astrazione tale da trascendere la moltitudine degli oggetti e diventarne “il centro”. Questa affinità psicologica tra la rappresentazione del divino e le sensazioni suscitate dal possesso del denaro, così come la fiducia nella sua onnipotenza in quanto principio supremo che provvede ad ogni nostra necessità e realizza i nostri sogni, fa del Denaro il dio del nostro tempo. Un Dio sempre presente nei nostri pensieri che finisce per diventare il fine assoluto e il più potente stimolo all’attività: la nostra massima aspirazione … la ruota perpetua del carro della vita. Così, secondo Simmel, il desiderio o la mancanza di denaro divengono lo stato permanente dell’anima tipici dell’economia monetaria. E l’amore per le cose che si possono comprare con il denaro si trasforma lentamente nello sforzo perpetuo di controllare gli eventi, nella sicurezza contro la morte, si trasforma nella fuga dalle persone e in ciò che le “separa”: l’eros al contrario, cioè la sua perversione. Il denaro diviene allora un sostituto di qualcosa che non appartiene al mondo materiale, un sostituto della relazione: uno pseudo-innamoramento, una falsa storia d’amore. E, nel caso di Sonia, una falsa libertà.
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In questo caso estremo gli oggetti di consumo trasformati in valore assoluto, in vera e propria divinità, ritorcendosi contro la coppia, hanno manifestato tutta la valenza mortale dell’eros pervertito e distrutto la loro relazione, l’unico elemento umano in uno scenario di estrema aridità e desolazione. L’eros, l’energia sessuale che fluisce in noi è l’energia potenziale della nostra evoluzione umana e spirituale, energia potente ed elemento trasformatore per eccellenza. Niente possiede un maggior potenziale trasformatore per il singolo e per tutta la collettività dei contatti genuinamente amorosi. Ogni volta che all’eros viene impedito di seguire il proprio corso, di fluire verso un altro essere umano, viene avvelenata la sorgente stessa della vita dentro di noi, il seme del nostro potenziale umano che, una volta dispiegato, dovrebbe condurci alle vette più alte della nostra consapevolezza ed evoluzione. Per Wilhelm Reich la Verità, in quanto espressione del contatto più profondo con se stessi, è inestricabilmente legata al corpo, al fluire della Vita in noi e alla sua percezione. È il pieno, immediato contatto tra il vivente che percepisce e la vita che è percepita, non è quindi, come siamo abituati a credere, un ideale etico. Lo è diventato, secondo Reich, quando la verità fu smarrita con la perdita del paradiso, che è la perdita di questo contatto e della sua libera espressione. La sopravvalutazione della razionalità e dell’intelletto e la rigidità dei confini dell’ego, tipici del nostro attuale livello di coscienza collettiva, hanno portato alla negazione della verità del corpo, delle emozioni incarnate. Per l’ego il corpo è qualcosa che deve essere “addomesticato” e messo al proprio servizio attraverso il controllo delle sue funzioni. Ma quando questo controllo è esasperato, fino al punto in cui il corpo viene considerato alla stregua di una macchina di produzione, come nel caso estremo della prostituzione, perdiamo di vista l’unica verità che ci può salvare, l’unica bussola nelle imprevedibili tempeste della vita.
A questo proposito sono emblematiche le parole di Jung:
“Se siamo ancora prigionieri dell’antica idea di una antitesi fra mente e materia, ci troviamo di fronte ad un’intollerabile contraddizione che può anche alienarci da noi stessi. Ma se possiamo riconciliarci con la misteriosa verità che lo spirito è il corpo vivente visto dall’interno, e il corpo la manifestazione esteriore dello spirito vivente – e corpo e spirito sono in realtà tutt’uno – allora possiamo capire perché il tentativo di trascendere l’attuale livello di coscienza deve tributare al corpo la dovuta considerazione”.
La riduzione del corpo a merce potrebbe essere paragonata alla “suprema perversione” di cui parla Goethe: una scelta di morte nel pieno della vita. Una scelta in cui il corpo viene fatto tacere, un corpo imprigionato, reso oscuro e silenzioso, un corpo muto al quale viene negata l’espressione autentica. Il corpo che appartiene alla natura, dove nascono le sensazioni e il desiderio, dentro il quale un cuore vivo pulsa di coraggio, di fuoco e passione. Il corpo che la ragione non riesce mai a comprendere né a controllare. “L’assassinio di Cristo”, secondo Reich, si compie inevitabilmente ogni volta che viene negata la nostra intima verità e impedito il contatto con la totalità dell’essere, si compie ogni volta che l’uomo rinuncia al paradiso, vale a dire il sentimento e la possibilità di Dio nel proprio corpo.
“È qui, in questo corpo che vi sono i fiumi sacri. Qui vi sono il sole e la luna così come tutte le mete di pellegrinaggio. Non ho mai visto un tempio tanto luminoso quanto il mio corpo”.
(Saraha, maestro tantra)
I magnifici appellativi utilizzati per designare gli organi sessuali maschili e femminili nell’antica Cina, così diversi dai nostri corrispondenti “volgari”, forse rendono l’idea di quanto questa cultura rendesse onore, bellezza e sacralità alla sessualità. L’organo sessuale maschile era nominato: araldo, uccello carminio, flauto di giada, scettro di giada, arma d’amore, vetta positiva, vetta dello yang etc… E quello femminile: anemone d’amore, caverna, lingua di pulcino (il clitoride), fessura vermiglia, conchiglia, porta della vita, crogiolo femminile, ingresso dorato, grotta, cuore di peonia, nodo intimo, corrente interna, caverna di giada, gioiello incastonato, grotta d’amore, caverna misteriosa, grotta del piacere, crogiolo prezioso, pietra preziosa, perla rossa, caverna segreta, corde della lira (le grandi labbra), luogo del piacere.
Nel suo libro L’assassinio di Cristo Reich analizza la vita di Cristo e il suo mistero di passione e morte, mistero che secondo Reich incarna il simbolo vivente della “resurrezione della carne” e risveglia emotivamente dentro ogni uomo il senso della rinascita del “Vero”, originario amore fisico: il fluire dell’Amore e della Vita nei nostri arti, nei tessuti, nel sangue che scorre, nell’aria che respiriamo. Spasso durante i nostri colloqui Sonia evitava di approfondire l’argomento scottante della sua sessualità mercenaria, mi diceva che avrebbe voluto, in futuro, affrontare seriamente un’analisi ma in questo momento non se la sentiva. Era consapevole, ma non so fino a che punto, di portare con sé cicatrici profonde in nome della sua paradossale idea di “libertà” (quante assurdità vengono giustificate in questo nome!). C’era un’ombra sul suo volto e un’espressione stanca, forse il segno indelebile di un’agonia che vibrava in tutto il corpo, ma preferiva non parlarne. È l’agonia dell’assassinio della vita dentro di sé, avrebbe detto Reich, il veleno e la spada: “una esperienza che accomuna ogni uomo a Cristo”. Non so quanto Sonia fosse consapevole di attraversare e rivivere quotidianamente un nuovo Getsemani e un nuovo Golgota.
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Ogni volta che subiamo, accondiscendenti o no, un’invasione della nostra integrità fisica, sessuale, psicologica/emotiva o spirituale, un’intrusione attiva nei confini che ci definiscono come esseri umani, ogni volta che il nostro corpo viene violato in ciò che possediamo di più intimo, la solitudine esistenziale che già ci caratterizza in quanto esseri umani diventa sempre più profonda e dolorosa, causando sofferenze e disperazioni difficilmente sostenibili. Vengono in questo modo abbattuti i confini che confermano la nostra identità e delimitano noi stessi dal resto del mondo; confini questi che determinano anche la nostra relazione con noi stessi, con le nostre radici spirituali e con quanto ci circonda.
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Scrive Alan Watts: “è importante ricordare che lo stato mentale da cui l’esperienza dell’unità inizialmente sorge è quello della totale assurdità”3. Ed è proprio da una condizione che appare sempre più ostile, invasiva o violenta, e dall’impossibilità di trovare una via di uscita all’impasse esistenziale, che nasce la lucida comprensione della radicale impotenza dell’io, ridotto a nient’altro che ad una zavorra, ad uno sforzo del tutto inutile. All’improvviso, come per miracolo, ci si rende conto che i rigidi confini fra se stessi e il resto del mondo sono improvvisamente svaniti… e che la vita per la prima volta sembra fluire liberamente e che liberamente ci si sente di appartenere a un Tutto e di partecipare a un più ampio progetto esistenziale.
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Maria Maddalena
Gli psicologi del profondo conoscono molto bene il potere evocativo e la forza psicologica del linguaggio immaginale (il linguaggio dell’eros), molto più potente e illuminante di qualsiasi teoria o teologia e di qualsiasi discorso razionale (logos). In ambito religioso, per esempio, è sempre l’immagine più che la vera dottrina a creare il potere ammaliante e persuasivo di una religione. Per quanto possiamo interpretare simbolicamente ogni immagine, quel che conta è che viviamo e “respiriamo” nell’atmosfera da queste evocata e “impregnata”.
Immagine ricorrente nella nostra iconografia religiosa è quella della Vergine Maria nell’atto di scacciare il serpente sotto i suoi piedi. In alcune raffigurazioni la Vergine sembra sorridere vittoriosa, in altre appare triste o affaticata nel tenerlo sotto i piedi (dipende dal punto di vista personale e della “sensibilità erotica” dell’artista!). Il bastone dell’Ermete greco, il mercurio nell’alchimia, l’elemento “tentatore” della tradizione biblica: se osserviamo meglio le movenze sinuose del serpente, ci appaiono proprio come elemento dinamico atto a sviluppare, a rendere mobile, a “dominare il caos”, ad accrescere e trasformare. Presente in diverse culture, il simbolo del serpente negli antichi culti del divino femminile rappresentava la dea stessa in tutta la sua potenza generatrice ed è un’immagine sempre presente nell’inconscio in relazione alle esperienze di iniziazione ai processi evolutivi sovrapersonali. In India la Kundalini, l’energia sottile che risiede addormentata nella regione pelvica in attesa di essere risvegliata, è rappresentata da un serpente arrotolato. Attraverso le pratiche meditative questa energia si desta e risale lungo la colonna vertebrale fino al capo quando avviene l’illuminazione, esperienza che dona all’essere umano l’estasi, la massima libertà e saggezza cui può aspirare l’anima.
Scrive Jung:
Dal punto di vista del sistema cosmico dei cakra,, ci possiamo accorgere di essere ancora molto in basso, che la nostra cultura è una cultura a livello di mulãdhãra (che si trova nel primo e più basso cakra, situato nella pelvi, ed è la nostra realtà. N.d.a.), soltanto una cultura personale nella quale gli dei non si sono ancora risvegliati dal loro sonno. Dobbiamo perciò risvegliare Kundalini per rendere manifesta la luce degli dèi alla scintilla di coscienza individuale.4
Lo gnosticismo (da gnòsis, termine greco che significa conoscenza) era una complessa dottrina eretica del cristianesimo. Il fine ultimo degli gnostici era l’esperienza diretta del divino. Tale dottrina riconosceva l’aspetto femminile di Dio, chiamandolo o la “Grande Madre” o “Sophia” (che nella sua versione “tenebrosa” appare come “Lilith”, figlia o emanazione di Satana), e numerosi culti le erano dedicati. Le “nozze sacre” (hieros gamos) in questi contesti rappresentavano l’unione della somma sacerdotessa con il re santo. Molti di questi culti sono ancora oggi ignoti alla maggior parte delle persone.
Nei miti gnostici Eva, la nostra “peccatrice”, non era considerata la colpevole della caduta dell’umanità, ma contrariamente alle nostre credenze fu proprio il serpente – ritenuto da alcune tradizioni esoteriche il più spirituale tra gli animali – colui che ha offerto a Eva la possibilità della conoscenza del bene e del male e dell’immortalità, conoscenza che potrà salvarla e consentirle di diventare simili a Dio. Nelle antiche religioni pagane il lato femminile di Dio aveva un triplice aspetto: la vergine, la giovane innamorata (colei che porta con sé il frutto della vita) e l’anziana (la saggia). Nella nostra iconografia Maria incarna allo stesso tempo la vergine e colei che porta il frutto, un ruolo impossibile, inaccessibile ad una donna mortale. Le donne alle quali viene presentato questo archetipo religioso della Dea Vergine, che in un certo senso lo “respirano”, sono in qualche modo separate dalla propria sessualità, condizione che provoca anche negli uomini una tale separazione. Maria che schiaccia il serpente sotto i piedi rappresenta il principio femminile che sopprime la propria sessualità.
Le divinità pagane che rappresentano la forza della natura in noi, come il dio greco Pan, per esempio, sono state demonizzate dalla propaganda ecclesiastica così come dalla Chiesa Maria Maddalena fu considerata una meretrice, sebbene il Vangelo non abbia mai menzionato il suo nome negli episodi in cui Gesù si rivolge ad una prostituta. La negazione dell’aspetto femminile di Dio o, ancora più grave, la negazione del corpo e della sessualità, tipico delle religioni patriarcali, porta alla creazione di una dottrina religiosa incompleta e per certi versi perniciosa. Quando uno Stato è in grado di esercitare il controllo sulla sessualità del proprio popolo attraverso la religione e indirizzarla verso altre mete (il denaro per esempio), ciò significa dal punto di vista psicologico che ha su di esso potere assoluto. La nostra religione, prevalentemente maschile, non ha mai sondato i misteri del divino femminile e della sessualità-spiritualità, né ha mai dovutamente considerato l’emancipazione della donna, in quanto ciò richiede una rappresentazione metafisica adeguata al nuovo modello femminile emergente. La parità dei diritti rivendica in effetti una nuova immagine archetipica di “donna divina”, una donna non più vergine, una donna sessualizzata.
In Risposta a Giobbe Jung interpreta la decisione di Jahweh di diventare uomo come un simbolo dell’evoluzione che avrà inizio quando l’uomo prenderà coscienza dell’immagine di Dio con la quale si è finora confrontato. Questo Dio agisce attraverso l’inconscio dell’uomo, costringendolo a riappropriarsi, attraverso l’unione e l’integrazione, delle forze “opposte” che, minacciose, soggiacciono alla coscienza. “Il volto femminile di Dio”, la “vergine nera” appartengono ancora oggi ad un altro mondo, a un mondo sotterraneo, un mondo futuro.
“Ciò che importa adesso è sapere se l’uomo è capace per se stesso di elevarsi ad un gradino morale più alto, ad un livello superiore di coscienza, per essere all’altezza del potere sovra-umano che gli angeli caduti… posero nelle sue mani.”5
Jung considera la Madonna (anche nella sua corrispondente demoniaca, “Lilith”, la Sophia satanica) il quarto elemento che renderebbe completa la trinità cristiana:
“Da molto tempo si sa che un profondo desiderio si è svegliato nel cuore delle masse nel senso che l’intercessore e mediatrice degli uomini occupasse il suo dovuto posto vicino alla Santissima trinità e fosse ricevuta ’come regina del cielo e sposa nella corte celeste’ … e già sappiamo dall’antico testamento che Sofia si trovava vicino a Dio ancora prima della creazione … dalla preistoria si sa che l’essere divino primordiale racchiude una componente maschile ed una femminile. Ma una verità di questo tipo accade nel tempo soltanto quando viene proclamata solennemente o quando viene riscoperta” 6
p<> Negli ultimi anni si sta manifestando in ambito collettivo una tendenza al recupero, alla riappropriazione nel contesto religioso di una figura metafisica femminile dotata di sessualità, figura che emerge nei nostri sogni, ma anche nell’arte e nella letteratura. La figura di Maria Maddalena, per esempio, così come appare nel film “Il codice da Vinci” tratto dall’omonimo libro di Dan Brown. Considero questi tentativi, a volte maldestri o anche grotteschi, estremamente significativi dal punto di vista psicologico in quanto rappresentano l’esigenza e la tensione verso una profonda trasformazione dei simboli del nostro tempo (“una metamorfosi degli dei”), una trasformazione, in questo caso, della donna inconscia, archetipica, dentro di noi e l’avvento di una sua nuova immagine metafisica. Tutto ciò è naturalmente degno dell’interesse degli psicologi del profondo.
Così esprimeva Jung l’urgenza della “trasformazione dei simboli”:
“Viviamo in quello che i greci chiamavano Kairos, o momento certo per una metamorfosi degli dei, dei principi e simboli fondamentali. Questa peculiarità del nostro tempo, che certamente non è una nostra scelta, è l’espressione dell’uomo inconscio dentro di noi che sta cambiando. Le generazioni future dovranno prendere in considerazione questa importante trasformazione…”7.
Potrebbe essere quella di Maria Maddalena una più moderna immagine archetipica di donna divina eletta a unirsi alla trinità per completare il quadro divino? Una Maria Maddalena non più “prostituta” ma nella sua nuova veste di “sposa di Cristo”, nuova icona femminile, un’icona più adeguata a rappresentare la nuova donna emergente, sessualmente più completa, una donna che tende a liberare il serpente da sotto i piedi?
Ogni nuova immagine esprime una rinnovata speranza di placare la tensione minacciosa che scuote l’anima umana nelle sue fondamenta e di realizzare un salto evolutivo nella nostra consapevolezza, una rinnovata speranza e una tensione propulsiva verso la pace, l’armonia e l’equilibrio degli opposti.
Note
1 Simmel, G., Il denaro nella cultura moderna, Armando Editore, Roma, 2005, p. 82..
2 Lowen, A., Il linguaggio del corpo, Feltrinelli, Milano, 2005, p. 293.
3 Watts, A., La via della liberazione, Astrolabio, Roma, 1992, p. 27.
4 Jung, C. G., La psicologia del kundalini-yoga, Bollati Boringhieri, Torino, 2004, p. 114.
5Jung, C. G., Resposta a Jò, Editora Vozes Ltda, Petropolis, RJ, 1986, p. 103, T.d.a.
7 Jung, C. G., Opere 10**, Dopo la catastrofe, Bollati Boringhieri, Torino, 1986, p. 47.