IL MARTELLO DELLE STREGHE

                                            IL MARTELLO DELLE STREGHE

Virginia Salles, Roma

 

Fuggi da quanto ha già forma agli aperti reami delle forme possibili

(Goethe)

Io sono ciò che fu, che è e che sarà; ancora nessun mortale sollevò il mio velo

(Motto di Iside)

Il martello delle streghe

Nel 1484 il papa Innocenzo VIII attraverso la bolla Summis desiderantes affectibus conferisce a due predicatori Domenicani Heinrich Institor e Jakob Sprenger (Kramer), futuri autori del Malleus maleficarum – la Bibbia dell’inquisizione conosciuta anche come “Il martello delle streghe” – l’incarico di “punire, incarcerare e correggere” le persone “infette dal crimine della perversione eretica” da svolgere con il pieno potere del Ministero dell’Inquisizione. Inizia così la caccia alle “streghe” che nel XV secolo uccise da 40 a 60 mila donne accusate di stregoneria.

Considerato da alcuni come un vero e proprio libro d’iniziazione alla pornografia, il Malleus risuona inquietante alle nostre orecchie moderne per i suoi aspetti di sconcertante attualità. La strega, “violentata e torturata dal diavolo incubo”, è anche la sua “complice” nella pratica delle “sporcizie carnali”, colpa femminile questa che sopravvive ancora oggi nei meandri più oscuri della nostra coscienza civilizzata.

La maledizione delle streghe risiede, stando agli autori domenicani, oltre che nelle loro conoscenze del mondo invisibile e del sovrannaturale, nella conoscenza del corpo e delle cose di natura sessuale. La streghe sono le “puttane del diavolo” e, in quanto detentrici del fuoco della passione carnale, rappresentano una minaccia per la collettività. La sessualità e le arti magiche, delle quali la strega è sia artefice che esperta conoscitrice, sono quindi gli elementi sovvertitori della società.

Se non ci fossero le malvagità delle donne, anche senza parlare di stregoneria, il mondo rimarrebbe spoglio d’innumerevoli pericoli.1

 

Secondo l’Antico testamento fu per causa della prima peccatrice, Eva, e delle donne che la seguirono, che l’uomo cadde così in basso, nell’abisso oscuro del Male. È soprattutto la lussuria femminile il portale attraverso il quale si accede al diavolo come viene confermato da Heinrich e Kramer che incalzano oltre ogni immaginazione nella descrizione delle pratiche sessuali delle streghe: nessun dettaglio viene risparmiato perché niente possa sfuggire al disprezzo e alla condanna della comunità. Il Dio che emerge dalle pagine del Malleus è un Dio intollerante fino all’inverosimile verso qualsiasi forma di deviazione dall’ordine vigente; la Chiesa, innalzata al ruolo di giudice spietato, incarna il Principio Supremo della misoginia, un odio verso il mondo femminile espresso nei termini estremi del disprezzo e della degradazione della Donna in ogni sua manifestazione.

Di debole intelligenza, ciarliere, vendicative, invidiose, colleriche, volubili, smemorate, mentitrici, dai desideri insaziabili, le donne – già per il loro corpo- sono preferite per la prostituzione diabolica2

Nel Formicarium, il primo trattato demonologico di cui si ha conoscenza sull’argomento della stregoneria scritto da Johann Nider, frate domenicano tedesco, tra il 1435 ed il 1437, si racconta di una ragazza che pur dichiarandosi donna e vergine usava vestirsi con abiti maschili. Le autorità, dopo lunga discussione circa il carattere diabolico o divino dell’insolito fenomeno, decidono a favore del rogo in quanto soluzione più adeguata. È degno di nota che il titolo del libro> Formicarium derivi dalla parola “formicaio”: l’autore prende spunto dalla vita delle formiche, dalle loro abitudini ed organizzazione – che ritiene simili a quelle degli uomini e ottimo esempio per la formazione dei fedeli della Chiesa – unico vero rimedio contro il male dilagante nella vita della collettività. La comunità delle formiche innalzata ad esempio per la comunità umana è ispiratrice di quel trattamento dell’uomo sotto “regime” che non lascia spazio ad alcuna forma di individualità. L’omologazione è il mezzo più efficace per ottenere il rispetto di un ordine legale, qualsiasi esso sia. La comunità delle formiche non può quindi tollerare le donne in quanto esse incarnano l’elemento creativo e seduttivo per eccellenza (etimologicamente sedurre significa condurre fuori dal retto cammino, deviare) della natura umana. Sul frontespizio della prima edizione del Malleus c’è la scritta: le streghe portano la dissoluzione dell’ordine, perché obbedienti ad un potere invisibile.

Dalle pagine del “Martello delle streghe” emerge il sintomo di un delirio sessuale-politico-religioso attraverso il quale i suoi autori infieriscono contro i loro stessi sogni e aspirazioni più segrete proiettati in corpi femminili. È il corpo della strega, l’oggetto delle loro più inconfessabili fantasie e desideri, ad essere bruciato, corpo che incarna una intera legione di demoni: i fantasmi che assillano senza tregua il sonno degli inquisitori. Il diavolo, come le fantasie amorose degli inquisitori, è incontrollabile, insituabile, onnipresente e, nella sua pluralità di volti, costituisce nel Malleusuna minaccia dilagante.

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Stregoneria, follia e delitto

Tra gli archivi ai quali attinge Michel Foucault per la stesura del suo libro Storia della follia alla ricerca di una motivazione comprensibile e coerente in nome della quale sono stati segregati gli “insensati”, fu trovata la descrizione del caso di un uomo rinchiuso in quanto “litigioso ostinato” e di un altro definito “uomo cattivissimo e cavilloso”, un “bestemmiatore” , un “gran bugiardo”, ma anche il caso di una donna di sedici anni che “dichiara ad alta voce che non amerà mai suo marito, che non c’è nessuna legge che lo ordini, che ognuno è libero di disporre del proprio cuore e del proprio corpo a suo piacimento, ma che è una specie di delitto dare l’uno senza l’altro”7. Il luogotenente al quale era stato affidato l’increscioso “caso”, un certo D’Argenson, chiamato in causa dichiara che dinanzi a tali impertinenze “…ero propenso a crederla pazza”. Siamo sulla strada di ciò che un secolo dopo, l’inizio del XIX secolo, portò il marchese de Sade “colpevole di  libertinaggio ” al luogo destinato ai pazzi (Charenton, 1814) dove si lascerà morire. Ciò che verrà in seguito definito “follia morale” è una particolare forma di follia che si basa interamente su una “volontà cattiva”, su un errore etico. Follia o delitto che sia, alienazione o malvagità, dall’inizio del XVIII la diversità umana sarà trattata, secondo le circostanze, dal carcere o dall’ospedale.

Diverse sono le filosofie alla base delle differenti visioni e modalità di trattamento della “insanita”. Durante il rinascimento e nel medioevo la stregoneria, come la follia, apparteneva alla dimensione oscura e malefica della natura umana. Nei giorni attuali l’approccio filosofico alla base di ciò che oggi viene definito “malattia mentale” sembra, in un certo senso, aver sostituito quello inquisitorio. Ad un’analisi approfondita possiamo riscontrare analogie tra le attuali diagnosi di disturbo mentale e i processi per stregoneria: un comportamento considerato fuori della norma viene analizzato dall’inquisitore di allora o dal medico di oggi e giudicato deviante, abnorme e perciò pericoloso per la società in base ad una determinato concetto condiviso di “normalità”. Ciò che accomuna le streghe e i pazzi, nonostante i diversi periodi storici, è lo stigma della diversità. L’equazione: diversi = scomodi = socialmente pericolosi, ha portato inesorabilmente all’espulsione dell’individuo dal contesto sociale attraverso la morte o la segregazione.

Le streghe erano donne che oggi sarebbero state definite “single” e, come la saggia ragazza di 16 anni dell’archivio ritrovato da Foucault, non disponibili a compiere il sacrificio necessario alla regolamentazione istituzionale della propria affettività e sessualità all’interno dei ruoli tradizionalmente concessi alla donna. Erano donne che coltivavano la loro dimensione femminile nella piena libertà di celebrare la Vita e la Natura. Tale libertà in un mondo governato dalla Ragione, caratteristica archetipicamente maschile, rappresentava e rappresenta ancora oggi una minaccia all’equilibrio sociale, precario ma comunque funzionale al mantenimento dello status quo. Una società nella quale prevalgono ancora le caratteristiche patriarcali non può tollerare la libertà femminile. La minaccia incombe e prende le sembianze della strega che nell’immaginario collettivo incarna ancora oggi, in alcuni luoghi, tutte le donne: che si tratti di Medea o di Ifigenia, di Ipazia, Ildegarda di Bingen o Artemisia Gentileschi, Virginia Woolf o Franca Viola. La strega malefica assume ogni volta una differente sfaccettatura dei suoi numerosi volti.

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Una stanza tutta per sé

Nel suo libro “Una stanza tutta per sé”, tratto da una conferenza sul tema “le donne e la scrittura”, Virginia Woolf sostiene che la creatività femminile è ostacolata dalla rabbia e dall’indignazione delle donne verso un mondo che non concede loro espressione, rabbia e indignazione che fanno barcollare la loro immaginazione creativa.

Una donna, per attingere alla propria forza creativa, secondo la Woolf, deve superare l’odio, l’amarezza, la paura, la ribellione… e raggiungere quello che l’autrice definisce “l’integrità” di un scrittore: quella convinzione che ciò che si scrive e che si comunica al lettore sia la verità, una verità purificata da rancori e risentimenti personali. Compito difficile per una donna dell’epoca della Woolf, epoca nella quale “le donne non avevano mai una mezz’ora che potessero chiamare propria”, né “500 sterline al mese”, e nemmeno “una stanza tutta per sé”12.

Secondo il “Newsweek” (settembre, 2011) l’Italia si trova al 59° posto nella classifica mondiale delle nazioni dove è meglio “nascere femmine” tra l’Uzbekistan e la Russia. In questa classifica l’Italia arriva persino dopo la Moldavia, conosciuta per la tratta di giovani prostitute e la Cina, tristemente famosa per il suo sterminio di neonate femmine. Mi viene in mente la lugubre sequenza di nomi femminili, date funebri e grado di parentela dei maschi loro assassini, esposte sul muro della “Casa della Donna” a Trastevere, Roma. L’Italia è davvero un paese dove la libertà femminile non è ancora contemplata? Domanda questa di difficile risposta in quanto in relazione alle donne, nonostante l’evidente evoluzione del pensiero e le conquiste del movimento femminista, la definizione dei ruoli e il trattamento in ambito lavorativo e istituzionale risentono ancora di imprecisioni e ambiguità. Ambiguità che affonda le radici in una tradizione filosofico-religiosa che, non a caso, ha prodotto il Malleus, le cui ecco risuonano ancora oggi, nel nostro mondo civilizzato, nei luoghi più impensabili.

La dottrina femminista sottolinea l’aspetto intrinsecamente violento della nostra società definita patriarcale, violenza che ostacola la libertà di espressione femminile, la pace e l’armonia tra gli uomini e ci ricorda che aggressività e competitività non sono necessariamente le uniche modalità di interazione umana. La famosa frase latina di origine medioevale Mors tua vita mea è rappresentativa dell’atteggiamento maschile che domina incontrastato nel mondo moderno: “la mia vittoria equivale alla tua sconfitta e solo uno di noi, il vincitore, potrà sopravvivere”. Lo stile relazionale delle donne, più solidale rispetto a quello maschile, tende a cancellare confini e differenze ed a produrre una società più equilibrata ed armonica. L’antropologa Margareth Mead esprime nella frase: “Vita tua, vita mia” un atteggiamento opposto al motto maschile dominante, l’unico, secondo la celebre antropologa americana, che può garantire la sopravvivenza della nostra specie. Sappiamo che la solidarietà umana è una forma relazionale molto più evoluta dell’aggressività ed ancora una volta l’Anima del mondo ed il suo impulso evolutivo parlano per bocca di una donna.

Liberarci dalla fitta rete dei dettami culturali obsoleti e dei ruoli stantii rimane l’unica possibilità di accesso al desiderio nascosto> che può attivare l’energia vitale e “sguinzagliare” l’immaginazione creativa. La vera trasformazione interiore può avvenire solo in virtù di una ritrovata capacità visionaria, di quella fede nelle immagini e nel “pensiero del cuore” che porta al risveglio di “Iside-Sofia” e alla ri-animazione del mondo.