Visionari alle radici della modernità

                        Visionari alle radici della modernità

 

Queste cose Omero le narrò, come chi parla con un bambino. Mi narrò anche la sua vecchiezza e l’ultimo viaggio che aveva intrapreso, mosso, come Ulisse, dal proposito di giungere presso gli uomini che non conoscono il mare e non mangiano carne salata né hanno nozione del remo. Aveva abitato un secolo nella Città degli Immortali. Quando l’avevano distrutta, egli aveva consigliato la fondazione dell’altra. Ciò non deve sorprenderci; è fama che dopo aver cantato la guerra di Troia, Omero cantasse la guerra delle rane e dei topi. Fu come un dio che avesse creato il cosmo e poi il caos.

 Luis Borges, L’immortale

La scienza

Nel 1865 il tedesco August Kekulé (1829 – 1896) considerato uno dei fondatori della moderna chimica organica, fu il primo a dedurre la formula e la disposizione geometrica degli atomi del benzene. Kekulé all’epoca non volle rivelare come fosse arrivato a tale conclusione. Fu solo nel 1890, durante una festa in suo onore a Berlino che lo scienziato raccontò che durante l’inverno del 1861-62, mentre si trovava nella sua stanza a Gand, in Belgio, si era appisolato davanti al camino e nel sonno aveva visto “un serpente roteante che si mordeva la coda” (Ouroboros). Da questa immagine Kekulé trasse, appunto, la sua ispirazione del benzene come una  catena chiusa di atomi.

Ero seduto intento a scrivere, ma il lavoro non progrediva; i miei pensieri erano altrove. Girai la sedia verso il camino e mi appisolai. Di nuovo gli atomi giocavano di fronte ai miei occhi (…). Il mio occhio mentale, reso più acuto da questa ripetuta visione, era ora in grado di distinguere strutture più grandi di multiforme conformazione; lunghe file talvolta sistemate più strettamente, tutte sinuose e ricurve come il moto di un serpente. Ma guarda! Che cos’è? Uno dei serpenti aveva afferrato la sua stessa coda, e la forma girava beffardamente davanti ai miei occhi. Come per un lampo improvviso mi risvegliai e passai il resto della notte a elaborare la mia ipotesi. [1]

Anche se non ci sono prove documentate, si racconta che anche James Watson  sia riuscito, nel 1953 (insieme a Francis Crick), attraverso una  visione, a  ipotizzare che il DNA si componesse di due catene di nucleotidi disposte a  formare una doppia elica e a svelare il mistero che da decenni tormentava il sonno degli scienziati: la struttura dell’acido desossiribonucleico, “la doppia elica” del DNA, sede del patrimonio genetico di ogni essere vivente.  Episodi come questi  spiegherebbero perché Einstein affermava di pensare per immagini, invece che con le parole.

La soggettività ha sempre fatto paura alla cultura scientifica occidentale e alla stessa psicologiama questo aspetto più profondo, direi immaginale/emotivo dell’intuizione scientifica porta inevitabilmente con sé una dimensione animica nella storia della scienza, grazie alla quale, sentimenti, emozioni e immaginazione vengono considerati molto più rilevanti nello sviluppo delle conoscenze di quanto eravamo abituati a considerare. Anche se il ruolo della “ispirazione” nella scoperta scientifica, come, per esempio la visione di Kékulé, era già da tempo riconosciuto, è più recente l’individuazione dei fattori soggettivi in quanto elementi essenziali dell’attività scientifica: qualcosa che potrebbe essere definita come l’accesso ad una dimensione interiore/emotiva universale, a ciò che Jung definisce “inconscio collettivo” o alla creazione di quelli che Ludwig Pleck ha chiamato “collettivi del pensiero”. 

Potere all’immaginazione

Potere all’immaginazione fu uno degli slogan dei movimenti della controcultura negli anni 60/70, ma purtroppo nella nostra epoca attuale la dimensione immaginativa viene spesso soffocata dall’educazione scolastica e dai media, nonostante la grande varietà di immagini che ci giungono dai cartelloni pubblicitari, da internet o dalla TV. Immagini che ci catturano senza offrirci alcun nutrimento emotivo né la possibilità di elaborazione. Immagini collettive che non stimolano il pensiero, ma ci richiamano ad una adesione passiva, senza alcuna comprensione del loro vero significato. James Hillman[2] ci incoraggia a  diffondere una cultura dell’immaginale, ma in un senso inverso: nel senso dell’attenzione a quelle rappresentazioni che sgorgano dall’interno, dal nostro mondo interiore e che attendono di essere espresse. Rudolf Steiner ci invita a cercare Iside, la dea  perduta, nel mondo delle immagini, di quelle ancora vive, attraverso le quali l’interiorità umana può rinascere ed intensificarsi nell’immaginazione. Non si tratta in questi casi di un’astrazione ma di  veri e propri  inviti a, come direbbe Hillman, “comportarsi immaginativamente”.

Nella pratica terapeutica è importante, per esempio, accettare le immagini così come si presentano, e lasciarle parlare. Se l’esperienza è quella del dolore, del mal di vivere o un’esperienza creativa, lasciamo che parlino i suoi fantasmi, che si muovano liberamente nei labirinti del nostro mondo interiore e che si esprimano in libertà. Non importa da quali abissi provengano, lasciamo che agiscano dentro di noi e che si trasformino. Trasformare le immagini interiori significa trasformare noi stessi e liberare le nostre potenzialità creative. È questo il loro scopo evolutivo, archetipico.

Consideriamo generalmente la dimensione immaginativa/visionaria come  qualcosa che “non esiste”. Anche la realtà in cui ci muoviamo e che percepiamo con i nostri cinque sensi viene oggi messa in discussione dalle nuove scienze di frontiera. Per uscire da questa impasse forse sarebbe meglio considerare, come sostengono Steiner e lo stesso Jung nel suo Libro Rosso, che «è reale ciò che agisce» e che offre qualcosa di nuovo alla nostra esistenza: un nuovo punto di riferimento, una nuova prospettiva.

Gli psicologi del profondo conoscono molto bene la forza psicologica e il potere trasformativo  delle immagini, che si manifestino attraverso sogni o visioni, agiscono su di noi più fortemente ed efficacemente di un discorso razionale. Le immagini ci “muovono”, hanno una vita propria e qualche volta possono persino diventare “autonome” e mostrarci ciò che prima non riuscivamo a vedere. In questo caso possiamo considerarle vere e proprie “visioni”. Secondo Jung esaltare la luce non serve a nulla, se non c’è nessuno che possa vederla. Sarebbe invece necessario “insegnare all’uomo l’arte di vedere”. Ne sono testimoni quegli  artisti che in un certo modo si distaccano dalla concretezza della realtà e riescono a elaborare  attraverso le proprie immagini interne le forze occulte che agiscono nel sogno, rendendole visibili nel mondo. Artisti/visionari che vengono in questo modo investiti da una responsabilità del tutto nuova, quasi fossero demiurghi di un nuovo paradiso che era stato perduto!  

Jung (1922) distingue due tipi di opere creative: nel primo caso l’opera nasce interamente dall’intenzione dell’autore e nel secondo l’autore ne è da questa  “posseduto”, come per esempio il Faust di Goethe e il Zaratustra di Nietzsche. Per Jung queste ultime sgorgano direttamente  dall’inconscio collettivo ed il processo creativo consiste proprio in questa attivazione inconscia di un’immagine archetipica. Gli archetipi in questi casi liberano in noi una voce più potente di quella che riconosciamo come la nostra  voce.

“La concentrazione nel cervello ti rende pazzo. Dai un colpo! Chi ha trovato la strada sale in alto, oltre il proprio cervello. Nel cervello sei un nano: oltre il cervello acquisisci statura di un gigante”[3]. Afferma nel suo Libro Rosso il grande visionario che teorizzò l’inconscio collettivo.

Attraverso i sogni, immaginazione e visioni, si rinnova quindi ogni volta un miracolo, il miracolo della creazione. Nel mondo dei sogni/visioni, come in un rito del candomblé,  “gli dei ritornano” e “i morti si mescolano con i vivi” portando nuove idee, consigli e benedizione. Per Jung “un sogno è una porta nascosta nel santuario più profondo e più intimo dell’anima” e Holderlein nel suo “romanzo mitico” afferma che “l’uomo è un Dio quando sogna (e, aggiungerei anche quando “immagina”) e un mendicante quando riflette”. “L’uomo illuminato” nella mistica cristiana viene raffigurato ad occhi chiusi.  

L’arte visionaria

Nel periodo romantico e già nel corso del XVIII secolo si manifestano i primi segnali di una forma drastica di rifiuto della razionalità.  Gli artisti mossi dal desiderio di verificare i limiti della ragione e di spingerli fino alle estreme conseguenze, immaginano mondi fantastici e visionari in cui potersi rifugiare e maturano un’autentica passione per gli aspetti più oscuri e  irrazionali dell’animo umano. La pittura visionaria/fantastica è nata in contrapposizione all’eccessiva unilateralità dell’epoca  ed il sogno è una delle armi attraverso le quali non solo l’artista, ma l’uomo in generale, può trascendere la Ragione e la realtà ordinaria e inserirsi in una dimensione molto più ampia e  universale.

Fantastico, stravagante, ironico, Hieronymus Bosch ha dato forma attraverso le sue creazioni visionarie  a ciò che affollava il mondo interiore degli uomini del suo tempo: immagini fiabesche, magia, alchimia, tentazioni e eresie. E’ riuscito e mettere in scena con grande ironia i desideri più reconditi dell’uomo, i suoi conflitti  rispetto alle regole imposte dalla morale religiosa,  la caduta nel peccato e nel vizio, l’inferno della colpa e la redenzione. 

Animali mostruosi, una gigantesca bocca che inghiotte gli uomini, orecchie trafitte da frecce, un uomo che cresce da una fragola, pesci al guinzaglio,  suore lussuriose, quell’imbuto in testa al medico che “cura la follia”, il tunnel luminoso che conduce i beati verso il cielo… le sue opere, pure visioni, si opponevano alla supremazia dell’intelletto, ponendo piuttosto l’accento sugli aspetti trascendenti e irrazionali dell’uomo.

 Altro esempio di pittura visionario-fantastica lo possiamo trovare nei dipinti di William Blake che veniva assalito da visioni nelle quali emergevano prepotentemente angeli, mostri, demoni, morti, profeti, Dio. “Non c’è dubbio che questo poveraccio fosse pazzo, ma c’è qualcosa nella sua pazzia che attira il mio interesse più dell’equilibrio di Lord Byron e Walter Scott”, affermava il poeta William Wordsworth.

 Blake fu un appassionato sostenitore della forza dell’immaginazione, della capacità dell’uomo di trascendere la propria visione profano/materiale e di sublimare le impressioni sensoriali attraverso l’occhio spirituale: “se le porte della percezione fossero purificate, tutto apparirebbe all’uomo come in effetti è, infinito”. Secondo il poeta inglese l’atteggiamento  razionale dominante  del suo tempo imprigiona la mente e genera solamente sofferenze e oppressione. Possiamo dire con Blake, parafrasando una celebre citazione, che “il sonno dell’immaginazione genera mostri”. Nei suoi quadri e nelle sue poesie Blake cerca di esprimere l’Assoluto, l’Eternità, un mondo dove non esistono barriere tra l’esperienza e l’immaginazione, tra il sogno e la veglia, tra il mondo nel quale viviamo e  quello sovrannaturale. Nelle sue opere Blake manifesta tutta la sua indignazione e la sua lotta contro il materialismo ed il razionalismo imperanti.

 Nel mondo di Blake gli angeli dialogano con gli uomini, alla ricerca di una visione comune  dell’universo. Il suo occhio è onirico/immaginale: “l’immaginazione non è uno stato mentale: è l’esistenza umana stessa”, sostiene l’affascinante poeta/pittore inglese che dedicò la sua vita alla ricerca della propria dimensione spirituale e ai temi emersi dalla sua personale fantasia visionaria, anticipando quelli che sarebbero stati gli ulteriori sviluppi dell’arte nella seconda metà dell’Ottocento.

Blake fu trascinato dal suo profondo sentimento religioso verso sentieri poco ortodossi e espresse tutto il suo sentire attraverso magnifici brani poetici:

Vedere un Mondo in un granello di sabbia,

E un Cielo in un fiore selvatico,

Tenere l’Infinito nel cavo della mano

E l’Eternità in un’ora”[4].

 “Stay hungry. Stay foolish.”

In un famoso discorso all’Università di Stanford, Steve Jobs, grande innovatore visionario, incoraggiava gli studenti a non farsi intrappolare dai dogmi, a non  vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone e a non lasciare che il rumore di fondo delle opinioni altrui offuscasse la loro voce interiore. E, la cosa più importante, ad avere il coraggio di seguire il loro cuore e la loro intuizione. Curiosità e intuizione erano per Jobs elementi indispensabili all’innovazione; tutto il resto era da lui ritenuto secondario. In qualche modo cuore e intuizione, affermava Jobs, sanno che cosa ognuno vuole realmente diventare.

Ma non solo, proseguiva il fondatore della Apple, anche l’amore per quello che si fa e la consapevolezza continua della Morte che lui considerava “la più grande invenzione della Vita”, sono anch’essi elementi indispensabili nella ricerca delle nostra vera vocazione. Morte in quanto elemento propulsivo del cambiamento della Vita stessa: elemento che spazza via il vecchio per far posto al nuovo.  “Stay hungry. Stay foolish” fu il suo messaggio di addio. Essere affamato e soprattutto folle, di quella follia descritta da Erasmo da Rotterdam come una dea in vesti di donna, che secondo il filosofo-teologo olandese sarebbe infatti l’origine di ogni bene  per l’umanità. In Elogio della follia[5] Erasmo da Rotterdam considera  colui che si fa guidare soltanto dalla ragione come simile ad uno spettro mostruoso incapace di generare; “un uomo così fatto, sordo ad ogni naturale richiamo, incapace di amore e di pietà”. 

Visioni e “Neccessità”

Per Rudolf Steiner ogni nuovo insight o la “visione” di qualcosa di nuovo è una sorta di “Necessità”, è qualcosa che scaturisce dal contatto con le profondità dell’essere e che appartiene a quella stessa forza, intrinseca alla Natura umana, dalla quale  siamo stati “creati” e  che spinge in avanti la nostra  evoluzione: un’immensa energia la cui origine è al di là della psiche umana e  si manifesta attraverso un legame specifico non solo con l’altro ma con la totalità della Vita. E’ «l’amor che move il sole e l’altre stelle»  di cui parla Dante nella Divina Commedia. La creazione del nuovo ci  costringe ad una vera e propria passione/devozione verso il nostro sentire e porta con sé un senso di crescente consapevolezza della nostra interiorità insieme al sentimento di impotenza dinanzi alla nostra stessa forza creativa. Hillman, come Jung, afferma che[6] questa forza “è più umana e più potente del suo stesso possessore”, il quale corre sempre il rischio di esserne posseduto.

 Possessione questa che può prendere varie forme. Un modello archetipico ricorrente  è quello del coraggio di Prometeo che ruba il segreto del fuoco pagando a caro prezzo la sua audacia con una tortura senza fine, o l’archetipo del ribelle o del folle in tutto il suo sofferto travaglio, distruzione, morte e rinascita.

Il senso finale di ogni esperienza visionaria o di ogni nuovo insight lo può esprimere solamente l’Anima attraverso la interiorizzazione/elaborazione dell’evento/visione, che accade spesso in situazioni emotivamente estreme, come, per esempio, nell’esperienza amorosa, nell’anelito religioso e persino attraverso una profonda consapevolezza e accettazione della morte, come affermava Steve Jobs. Solo l’Anima può davvero esprimere tutte le nostre possibilità creative attraverso sogni, visioni feconde, vite produttive, scoperte rivoluzionarie.

Profeta visionario è per Anick de Souzanelli colui che “vede i cieli aperti”. Stando alla nostra tradizione spirituale sono davvero solo pochi gli uomini che, “seduti sulla riva del fiume della vita”, vedono con i propri occhi e capiscono cosa gli sta accadendo intorno. Tutti gli altri corrono avanti e indietro affaccendati, sordi e ciechi.

Riuscire a percepire un’altra realtà celata dietro il velo delle certezze collettive, richiede un grande coraggio e la messa in discussione delle nostre sicurezze consolidate, richiede la capacità di  attingere a nuovi elementi, di percepire nuove correlazioni e nuove “costellazioni”, fino ad allora sconosciute; richiede l’abbandono di qualsiasi visione precostituita del mondo, di qualsiasi idea condivisa e un’immersione nelle profondità del proprio mondo interiore. Ogni nuova visione è  un incontro diretto con il Mistero della Vita, con la forza spirituale che agisce in noi.

In realtà nessuna “nuova” visione è del tutto nuova nel senso che “viene dal nulla”, ma  esiste dalle origini del tempo e si trova in quelle zone remote e spesso inaccessibili del nostro mondo interiore. In questo senso “vedere” un’altra realtà significa accedere a qualcosa che esisteva già, qualcosa che emerge dalle profondità della psiche e  che ci appartiene da sempre, qualcosa di potenzialmente presente, a disposizione di tutti in ogni momento. La nuova visione emerge attraverso un travagliato processo creativo che libera l’energia fino a quel momento imprigionata. Processo che richiede una mente libera dalle vecchie sovrastrutture  ed un immenso coraggio; non a caso nella mitologia e nelle favole, coloro che possiedono questa passione creativa e che penetrano in nuovi mondi vengono da sempre definiti eroi.

L’Anima con la sua immaginazione/visione creativa, è, come la descrive Sant’Agostino, un “cavernoso deposito di tesori”. E’ scompiglio, fecondità e ricchezza, tutto insieme. Nel recipiente dell’Anima, come in una fucina alchemica, le immagini si “cuociono” e si trasformano e una volta accolte dentro noi stessi, ci fanno crescere in consapevolezza e danno impulso al processo evolutivo non solo a livello individuale, ma anche collettivo.

Prigionieri dal tempo lineare e dello spazio materiale, abbiamo rimosso drasticamente la dimensione invisibile della vita che un tempo nutriva di significato i nostri antenati e  gli offriva una visione dell’Insieme al quale appartenevano. La dea follia che secondo Erasmo da Rotterdam,  “vestita da donna” sarebbe all’origine di ogni bene  per l’umanità, fu scacciata via dalle nostre vite. Abbiamo rimosso l’autentica fonte di significato e di nutrimento spirituale. Il nostro bisogno di potere e controllo sulla nostra stessa natura e la visione unilaterale e materiale che ne consegue, ci rendono sempre più sterili e miopi come lo spettro mostruoso di cui parla Erasmo da Rotterdam: “sordi ad ogni naturale richiamo e  sempre più incapaci di amore e di pietà”. Abbiamo bisogno di nuovi eroi che non compiano imprese mondane ma che affrontino con  coraggio il mondo interiore, l’invisibile fonte di ogni ispirazione. La dea follia “adirata” per essere stata dimenticata, come direbbe Hillman, ci richiama con forza all’immaginazione creativa e alla visione salvifica. Solamente il singolo individuo, dotato di coraggio, libero dalle zavorre del passato, dalle parole morte e posseduto dalla follia creativa, può veramente accedere ad una  nuova visione del mondo e di noi stessi, più ampia e unificata,  visione  che oggi  ci può ancora salvare.

     

 

   
 

 

[1] Poli, E. F. Anatomia della Coscienza Quantica: La fisica dell’auto-guarigione, Anima Edizioni

[2] Hillman, J., Il mito dell’analisi, Adelphi Edizioni, 1972

[3] Jung, C. G., O livro Vermelho, Editora Vozes, Petropolis, pag.321. T.d.a.

[4]  Blake, W. dal poema lirico Auguries of Innocence.

[5] Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, Editore Crescere, 2011

[6]