Respirazione olotropica

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Strategia terapeutica
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Nella nostra cultura, dominata dal paradigma scientifico, la  ha perso quella “sacralità” caratteristica delle varie tradizioni spirituali e sciamaniche ed è stata ridotta a semplice funzione fisiologica, perdendo così il suo significato di connessione con la psiche e lo spirito. Soltanto negli ultimi decenni i “terapeuti” occidentali hanno riscoperto il potenziale terapeutico della  e sviluppato tecniche che la utilizzano secondo diverse modalità.

La strategia olotropica di “” o di evoluzione della coscienza, si basa sul principio fondamentale che i “sintomi” sia emotivi che psicosomatici rappresentino un tentativo spontaneo dell’organismo di guarire se stesso, superare i propri traumi e raggiungere uno stato di maggior equilibrio. Principio questo che la terapia olotropica condivide con l’omeopatia nella tendenza all’attivazione e intensificazione temporanea dei sintomi presenti ed esteriorizzazione di quelli latenti, il che porta successivamente alla loro dissoluzione. Il sintomo viene visto quindi come un’opportunità di cambiamento, una tendenza naturale che la terapia dovrebbe assecondare, diversamente da quanto avviene nella pratica tradizionale, focalizzata sopratutto sulla sua soppressione.

Nel metodo “terapeutico” sviluppato da Grof, attraverso l’utilizzo di mezzi naturali come la , la musica evocativa e tecniche di lavoro sul corpo, vengono indotti potenti stati non ordinari di coscienza che portano alla rimozione dei blocchi bioenergetici e alla liberazione delle energie fisiche ed emotive represse. La risoluzione del trauma e il cambiamento che ne deriva, può significare una vera e propria trasformazione della personalità e scaturisce da vissuti profondi che spesso sfuggono alla comprensione razionale. Tale risoluzione può avvenire a livello biografico, essere cioè connessa ad esperienze e traumi infantili o all’emergenza di materiale perinatale e transpersonale.

Molte persone, in un momento particolare della loro esistenza, si rendono conto di una certa “ristrettezza di vivere”, si accorgono di agire ed esprimersi ad un livello molto inferiore alle loro potenzialità creative ed esistenziali. Questa consapevolezza porta a un’inversione di rotta nei processi intrapsichici, al ritiro delle energie psichiche investite nel mondo esterno e alla loro “introversione”: investimento nel mondo interiore alla ricerca di qualcosa che è andato perduto. Jung lo considera un processo naturale, tipico della seconda metà della vita. A questo punto, incominciano ad affiorare alla coscienza contenuti inconsci investiti di forte carica emotiva che possono interferire più o meno sul vivere quotidiano e che possono investire solo alcuni settori della vita come le relazioni, il lavoro o la sessualità, fino ad una interferenza massiccia su tutti gli aspetti dell’esistenza o sullo stesso rapporto con la realtà.

Le proporzioni di questa interferenza sono relazionate con il momento in cui sono avvenuti i traumi più importanti nella vita della persona e determinano se il processo raggiungerà proporzioni nevrotiche (traumi più tardivi nell’infanzia) o psicotiche (traumi legati a stadi più precoci). Questo irrompere di materiale inconscio provoca una crisi che può rappresentare un’occasione di risoluzione dei traumi stessi e di trasformazione psicologica.

La musica

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La musica evocativa da sempre ha avuto un ruolo molto importante nell’induzione della trance. I battiti monotoni dei tamburi e i canti hanno da sempre accompagnato i riti iniziatici e propiziatori in varie parti del mondo. Anche nella terapia olotropica la musica ha un ruolo fondamentale. Deve essere potente e evocativa, di preferenza musica di ottima qualità artistica, con pochi riferimenti concreti (i brani vocali debbono essere in lingue sconosciute). Vengono evitate musiche dissonanti e ansiogene e la caratteristica comune è quella di essere sconosciute, nella maggior parte dei casi, al gruppo dei respiranti. La nostra “colonna sonora” ha la durata di tre ore ed è composta da musiche appartenenti a vari generi: etniche, sacre, strumentali, “suoni della natura”, musiche “new age”, canti orientali, etc.

L’utilizzo della musica nel nostro contesto è molto diverso dall’ascolto compito e intellettualizzato a cui siamo abituati nelle sale da concerto o teatri, è una modalità di ascolto più libera, coinvolgente e sconvolgente, che assomiglia di più a quella di un concerto rock. E’ importante arrendersi completamente al ritmo della musica, lasciarla “entrare dentro” e reagire in modo libero e spontaneo, permettendo al proprio organismo di esprimere tutto ciò che la musica catalizza dentro di sé, fare “uscire fuori”, sia dal punto di vista fisico che emotivo, grida, risate, canti, versi di neonati o di animali, movimenti rituali, mormorii che giungono fino al parlare una lingua sconosciuta etc. Ma anche mimiche esagerate, tremori, movenze erotiche, contorsioni del corpo e del volto etc. In questo contesto la musica esercita diverse importanti funzioni: aiuta ad aprire le porte dell’inconscio, mobilitando le emozioni legate a ricordi assopiti e traumi rimossi, facilitando così la loro manifestazione e approfondendo il processo di guarigione; favorisce una forma di “insight” dinamica ed estetica e non ultimo copre i rumori (singhiozzi, pianto, grida) prodotti dai partecipanti durante l’esperienza.

La seduta si apre con musiche dinamiche, scorrevoli e prosegue durante la prima ora con musiche “celebrative”, aumentando poi sempre di intensità verso brani che inducono la trance, tratti da tradizioni rituali primitive, sciamaniche, musiche “forti” a ritmo molto intenso. La seconda ora è composta da musiche evocative di intensi stati d’animo, musiche “epiche”. Dopo circa un’ora e mezza dall’inizio della seduta, al culmine dell’esperienza, vengono introdotte quelle che chiamiamo “musiche di sfondamento” che vanno dalle intense e drammatiche musiche tratte da colonne sonore cinematografiche fino a musiche sacre come messe o requiem. Questo passaggio suona nel modo caratteristico di “un’onda che si rompe”. Proseguendo nella seconda metà della sessione l’intensità emotiva delle musiche diminuisce gradualmente verso “musiche di cuore”, musiche che “toccano l’anima”. Nella terza ora prevalgono le musiche meditative, rilassanti o comunque molto tenui e delicate, che accompagnano il lento ritorno allo stato di coscienza ordinario.

Le cinque fasi musicali della sessione possono essere così suddivise:

  1. musiche di apertura
  2. musiche per indurre la trance
  3. musiche di sfondamento
  4. musiche di cuore
  5. musiche meditative

Musiche di autori come Peter Gabriel, Vangelis, Mickey Hart, Gabrielle Roth, Ennio Morricone, Scott Fitgerald, Talku, Sainkho etc., sono molto utilizzate nella compilazione delle colonne sonore che accompagnano le sedute di respirazione.

 

L’esperienza

In ambito olotropico il termine “terapeuta” non prevede che si agisca in modo attivo sul “paziente”, ma viene usato nel senso tradizionale greco di “persona che assiste durante il processo di guarigione”. Il ruolo del terapeuta quindi durante le sedute olotropiche è quello di sostenere l’esperienza del respiratore senza influenzarlo o manipolarlo, anche quando il processo in corso non viene compreso immediatamente. Può accadere che gli “insights” corrispondenti emergano dopo l’esperienza, in una seduta successiva, durante un sogno o semplicemente come un “lampo improvviso” durante lo stato di veglia. La capacità di sostenere l’intensità di alcune esperienze richiede dal terapeuta una personale dimestichezza con gli stati non ordinari di coscienza e una piena fiducia nel suo potenziale terapeutico che deriva dalla propria esperienza e dal ricordo del proprio percorso terapeutico.

Durante gli esercizi di gruppo di “abbandono” e “affidamento” che precedono l’inizio della seduta di respirazione, ad un certo punto i partecipanti si “scelgono” a vicenda in base a criteri quali l’empatia, la fiducia etc. formano un certo numero di “coppie”. Durante i due giorni che seguono, ogni componente della coppia si alterna nei ruoli di respiratore o di assistente. L’assistente (o “sitter”) è colui che sta accanto al partner mentre questo “respira”, lo protegge e lo sostiene durante il “viaggio”. L’esperienza di assistente è complementare a quella di respiratore ed è anch’essa catalizzatrice di intensi stati d’animo. Come alcuni respiratori stessi dichiarano, anche questa esperienza è molto importante ed è parte integrante dell’intero processo.

Le reazioni fisiche che vengono attivate durante la seduta olotropica sono di complessa struttura psicosomatica e di solito possiedono un profondo significato psicologico, individuale, specifico di ciascun individuo. Queste reazioni a volte rappresentano una versione intensificata di tensioni e dolori della vita quotidiana; altre volte appaiono come una riattivazione di antichi sintomi di un stadio precedente della vita del respiratore. Altre volte, attraverso il linguaggio del corpo, comunicano un messaggio che può rappresentare un importante “insight” per quella persona in quel particolare momento. La strategia generale di questo lavoro sul corpo è quella di intensificare le sensazioni fisiche presenti nelle parti del corpo interessate con un appropriato intervento esterno e con l’aiuto del respiratore, aumentandole sempre di più finché non si sciolgono del tutto. Queste manifestazioni fisiche vengono di solito seguite da un profondo rilassamento. Quando rimangono tensioni residue o vissuti emotivi non completati e risolti, i “terapeuti” possono intervenire attraverso alcune particolari tecniche per liberarle e portare a completamento l’esperienza.

Durante lo svolgersi delle sedute di respirazione, viene utilizzata un’altra forma di intervento finalizzata ad offrire sostegno ad un livello molto profondo, pre-verbale. Il trauma relazionato a questo tipo di difficoltà è un trauma di “omissione” che affonda le sue radici in abbandoni e deprivazioni emotive, nella mancanza di soddisfazione di quel bisogno di esperienze positive e essenziali ad un sano sviluppo psicologico: accoglimento, fiducia, accettazione che generalmente vengono espresse attraverso il contatto fisico. Una delle modalità per riconoscere se il partecipante stia vivendo una regressione profonda è la scomparsa delle rughe del volto, l’espressione e molte volte il comportamento di un bambino con atteggiamenti e gesti che includono anche il pianto infantile o movimenti di suzione.

Quando durante l’esperienza, in un momento di profonda regressione, si ritorna in quel luogo di deprivazione, l’unico modo per superare simili traumi è quello di vivere in quel momento un’esperienza connettiva nella forma di un contatto fisico che la sostenga. Secondo accordi presi prima della seduta e con “l’approvazione del partecipante”, questo sostegno fisico può consistere nel contatto di una mano, in una carezza, o un lungo abbraccio e dovrà essere usato esclusivamente per soddisfare le necessità del respiratore e mai quella degli assistenti e terapeuti.

Le manifestazioni fisiche e emotive che avvengono durante le seduta olotropica variano notevolmente da persona a persona o nello stesso soggetto da una seduta all’altra. Alcuni partecipanti restano immobili e sembrano addormentati, altri si agitano e eseguono complessi movimenti che coinvolgono tutto il corpo: tremori, torsioni, spasimi etc. Altri assumono posizioni fetali o camminano carponi, movimenti che richiamano il nuotare, lo scavare, l’arrampicarsi, suoni e gesti di animali. Altri ancora eseguono complessi rituali primitivi o sacri di diverse culture, le varie posizioni dello yoga con i gesti caratteristici delle mani anche quando non li conoscono.

Le emozioni che emergono durante il processo sono di vario tipo e intensità e vanno dalla pace assoluta, serenità, beatitudine, rapimento estatico fino alla paura paralizzante, sentimenti di colpa, aggressività primitiva la cui intensità trascende ciò che possiamo sperimentare durante lo stato ordinario di coscienza. Emozioni così intense sono associate a esperienze di natura perinatale o transpersonale. Le emozioni di tipo biografico, legate a ricordi o esperienze traumatiche infantili anche se a volte sono molto intense, rimangono sempre vicine alle emozioni che conosciamo nella vita quotidiana: rabbia, tristezza, paura, vergogna, sorpresa, amore, gioia, compassione, colpa, ansietà etc.

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Elaborazione e integrazione

Alla fine della sessione, dopo che il respiratore è rientrato lentamente nello stato ordinario di coscienza, viene accompagnato dal suo assistente nel luogo dove si disegnano i mandala e invitato a esprimere graficamente l’esperienza su un grande foglio bianco, preferibilmente all’interno di un cerchio già disegnato. Il partecipante può anche scegliere di rappresentare l’esperienza per mezzo di un “collage”, fatto di illustrazioni ritagliate da riviste e incollate sul foglio o attraverso l’insieme delle due modalità. Altre possibili alternative sono i giochi con la sabbia di Dora Kalff e la scultura con l’argilla, utilizzata in particolare con respiratori ciechi.

In seguito, quando tutti i membri del gruppo hanno espresso graficamente, in un modo o nell’altro la propria esperienza, si rincontrano insieme al facilitatore (“terapeuta”, nel senso greco del termini, cioè di colui che assiste durante l’esperienza di trasformazione) per la condivisione: seduti in cerchio, ogni partecipante viene incoraggiato a raccontare il più liberamente possibile i propri vissuti ad un gruppo solitamente molto attento e accogliente. Non vengono date interpretazioni in quanto, data la profondità e complessità dei vissuti, qualsiasi interpretazione rischierebbe di ridurre e “congelare” il processo o interferire con il naturale percorso terapeutico. Possono a volte essere utili le amplificazioni di tradizione junghiana, come per esempio il parlare di analoghi motivi mitologici.

La  può essere combinata con un’ampia gamma di altre diverse forme terapeutiche o espressive come la  verbale, il lavoro sul corpo, lo psicodramma, lo yoga, la danza, la pittura etc., costituendo un insieme “terapeutico” che favorisce profonde trasformazioni psicologiche e l’evoluzione della personalità.