Respirazione e angoscia

Fame d’aria.   
La psicologia di José Angelo Gaiarsa tra corpo e spirito

Estratto
Virginia Salles, Roma

Libro: Respirazione, angoscia e rinascita di J. A. Gaiarsa tradotto in italiano

Sul retro della copertina del libro “ angoscia e rinascita” di José Angelo Gaiarsa, psichiatra e psicanalista brasiliano di formazione junghiana-reichiana, troviamo il seguente riassunto del testo:

Nessuna costituzione
E nessuna rivoluzione
Mai hanno pensato di garantire agli uomini
Il Diritto di Respirare.

Nessun diritto è più necessario,
in quanto viviamo tutto il tempo soffocandoci gli uni con gli altri,

Tu mi soffochi:
– Ogni volta che non posso dire a te quel che faccio
quel che sento e quel che penso.
– Ogni volta che devo controllare la mia voce e i miei gesti,
per far sì che tu non percepisca le mie intenzioni.
– Ogni volta che devo giustificare ciò che faccio dinanzi al mio
Giudice interiore – che sei tu.
– Ogni volta che reprimo i miei desideri perché tutti vigilano su tutti, perché nessuno faccia quel che tutti vorrebbero fare e che sarebbe bene che tutti facessero: amare, cantare, ballare…

La mia vendetta è fare lo stesso con te.
Per questo viviamo tutti soffocandoci,
e mai si è pensato di garantire a tutti il diritto di respirare.
Noi ci neghiamo il più fondamentale dei diritti: il diritto di vivere.
Per questo viviamo soffocati, angosciati, infelici.
È necessario rinascere, è possibile rinascere.
Questo è il riassunto del libro che hai tra le mani.1

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Nelle sue opere Gaiarsa compie una sintesi, una vera e propria congiunzione di opposti tra la “psicologia del profondo” di C. G. Jung e quella “del corpo” di W. Reich offrendo una visione dell’uomo più completa. I libri di Gaiarsa sono allo stesso tempo l’esposizione di una teoria e la storia di questa teoria. In essi l’autore, con un linguaggio molto spontaneo, frasi scherzose, racconta fatti personali, peculiarità della propria vita, le sue battaglie esistenziali lungo un difficile e travagliato percorso evolutivo.

La e lo spirito

Già dai tempi più remoti le parole relazionate con l’aria, l’atmosfera, o la “respirazione” sono le stesse usate per descrivere concetti religiosi. Per esempio, in alcune lingue antiche come il greco o il latino le parole aria, vento, soffio, sono le stesse che esprimono idee come Vita, Spirito, Dio. Gaiarsa ci propone alcune analogie: l’atmosfera come Dio è infinita, l’aria, così come Dio sta misteriosamente in tutti i posti allo stesso tempo, è onnipresente. Dio vede tutto, è il Trasparente e il Luminoso per eccellenza: è luce. Le parole camminano nell’aria che le contiene tutte: è onnisciente. Gli uomini hanno sempre fatto la guerra per tutto ciò che esiste di concreto, immaginario o simbolico che sia… Ma non hanno mai lottato tra loro per l’aria che respirano, aria che esiste in abbondanza per tutti: i buoni e i cattivi. Quindi l’aria come Dio è amore. L’atmosfera come lo spirito sta sempre “in alto”, “là sopra”, “in cielo”, così come i paradisi, come tutto ciò che è “buono”. Tutto ciò che viene “dall’alto” è superiore, “elevato”. Il Grande Spirito quindi può essere soltanto l’Atmosfera, che per Gaiarsa non è soltanto modello per concetti psicologici, “simbolo” di fenomeni interiori; ma è di fatto nostro Dio, che crea, dà la vita e la sostiene.

Secondo le nostre tradizioni all’inizio “lo Spirito aleggiava sopra le acque”. La forza invisibile non aveva ancora dato forma né creato niente. Dio ha fatto l’uomo dall’argilla e solo in seguito, quando soffiò l’aria nelle sue narici, gli diede la vita. La relazione più vitale dell’essere umano è quindi con l’aria, con l’invisibile che dà la vita e senza il quale si muore. La nozione di vita è così intimamente legata a quella di che lo stesso termine espirazione è passato a significare l’estinzione della vita: espirare è morire; e il termine ispirazione l’elevazione della vita a livelli sovra-umani. Tutte le idee relative alla parola spirito sono fortemente legate alla respirazione, sia concretamente sia simbolicamente: l’aria, l’invisibile, sta sempre simultaneamente dentro di me (polmoni) e fuori di me (atmosfera). Da questo punto di vista è difficile distinguere ciò che è mio da ciò che è di tutti, il “Grande Spirito”, l’atmosfera. In relazione all’atmosfera tutti noi siamo Uno. La è generalmente un’azione inconscia, un automatismo antico. La maggior parte delle persone non ha alcuna coscienza della respirazione, non la percepisce come qualcosa che si fa attivamente, ha invece l’impressione ingenua che l’aria che la mantiene viva entri nelle narici per forza propria. Quando l’aria “si ritira” da noi, quando l’invisibile ci abbandona, noi espiriamo: moriamo. In relazione al Grande Spirito noi ci riempiamo di vita (viviamo) o ci svuotiamo, moriamo (i morti non respirano). Quindi se non siamo Uno con il grande spirito, semplicemente non siamo. La in quanto presenza viva è quindi Signora della vita e della morte e l’aria come Dio è vita.

Le parole di Durckheim: “Nella partecipiamo inconsciamente alla Vita più grande“,1 e quelle di Lowen: “Attraverso la diveniamo consapevoli della pulsante vitalità del nostro corpo e sentiamo di essere una sola cosa con tutte le creature pulsanti in un universo pulsante“2 ci ricordano la visione orientale secondo la quale l’Atman, l’individualità, il piccolo spirito contenuto nel profondo del nostro petto è lo stesso Grande Spirito che soffia la vita nell’universo. Quest’universalizzazione del singolo si avvicina ad alcune riflessioni di Jung che sottolinea l’aspetto terapeutico dell’allargamento della prospettiva individuale verso una dimensione più ampia e universale. I buddisti esprimono l’idea che la realtà ultima, Sunyata (vuoto o vacuo), è un vuoto vivo che genera tutte le forme del mondo dei fenomeni. Lao Tse utilizza varie metafore per illustrare questo vuoto, comparando il Tao a un vaso permanentemente vuoto che contiene un’infinità di cose. Quindi per gli orientali la Divinità è un Vuoto Creatore, il che ci fa pensare al vuoto polmonare, senza il quale non esisterebbero né vita né parola.

La non è soltanto una funzione interna all’organismo; è soprattutto un atto di “relazione”: relazione con il mondo, con l’atmosfera, relazione con gli altri attraverso la voce/parola, relazione con se stessi. Da tempi immemorabili l’uomo ha utilizzato la come mezzo di autoesplorazione per facilitare il contatto con il proprio mondo interiore ed indurre profondi cambiamenti nella coscienza. Per lo yoga l’apparato respiratorio è una porta verso lo spirito attraverso la quale possiamo purificare il corpo e la mente, stabilire un contatto con il divino dentro di noi così come l’unione dell’io individuale con l’io universale. Anche il pranayama, l’antica arte-scienza indiana della respirazione, esplora le intime relazioni tra il corpo e la mente e favorisce lo sviluppo del nostro rapporto con l’aria, l’atmosfera, amplificando e raffinando la percezione e il controllo della respirazione. Respirare significa fondere insieme spirito e materia. In questo senso il pranayama è psicosomatico, se pensiamo alla sua funzione di anello di congiunzione tra il corpo e l’anima.

Respirazione e parola

Tutti noi soffriamo una dissociazione più o meno grave tra quello che abbiamo appreso dall’esterno, dagli altri, e quello che percepiamo interiormente, quello che in un certo senso “apprendiamo” dalla nostra esperienza non verbale di vita. È verbale quasi tutto l’“insegnamento” che riceviamo dal mondo. Da piccoli ascoltiamo dalle autorità una serie di regole e “verità” a volte molto discutibili, che ci vengono presentate come verità sacre. Queste “verità” hanno a loro favore l’adesione di quasi tutti, che in coro ripetono sempre le stesse cose (Gaiarsa parla di “voce del coro”); essere plasmati da questo insegnamento trasmesso tramite parole, significa perdersi nel collettivo, cioè “vivere secondo i precetti del super-io”. Nello stesso tempo noi viviamo le nostre esperienze di vita, sentiamo, vediamo, sperimentiamo, godiamo e soffriamo sulla nostra pelle, particolari sensazioni, stati d’animo, percezioni corporee alle quali spesso non viene data voce e che quindi rimangono la maggior parte delle volte inconsce. Infatti “cosciente” vuole dire soprattutto verbale; “inconscio” significa principalmente non verbale: sensazioni fisiche, contrazioni viscerali, suoni, riflessi, relazioni e forme che non hanno un nome.

Tutti noi abbiamo tratto, da questa esperienza vissuta non verbale, una certa personale filosofia di vita, più o meno inconscia, che si esprime attraverso la nostra voce interiore. Abbiamo però paura di ascoltarla, perché questa voce della nostra esperienza molto spesso contraddice la “voce del coro” che sentiamo tutti i giorni, non solo intorno a noi ma anche dentro di noi (interiorizzata), e che è più rassicurante. Abbiamo paura della nostra voce, della nostra intima verità perché diverge dalla opinione collettiva: seguirla ci potrebbe portare alla solitudine o ad essere vittime del pettegolezzo e dell’ostracismo. Le vittime dello Spirito del Coro trascorrono la vita nella continua e penosa sensazione che qualcosa li soffoca, tutta la vita aspettando un momento di respirazione libera, con l’anelito di espandersi e con la paura di farlo; respirare sino in fondo significa abbandonare lo Spirito del Coro e rimanere soli. Nella pratica psicoterapeutica è importante riconoscere la voce dello Spirito del Coro (lo spirito di tutti), secondo Gaiarsa il più pericoloso di tutti i demoni che possono possedere un essere umano. Una volta interiorizzato esso ci “parla” da dentro”, la sua musica è diversa dalla musica della voce autentica. Secondo le differenti intonazioni, modulazioni, inflessioni e ritmo della voce si può percepire “chi” o “cosa” sta parlando in ogni momento. Il terapeuta sensibile può essere molto spesso guidato da queste variazioni sonore più che dal contenuto della conversazione.

Descrivendo i suoi casi clinici Gaiarsa utilizza sia l’interpretazione dei sogni sia l’intervento sul corpo (collo, gola, cassa toracica) nell’intento di far sì che l’analizzando riesca a liberare la propria voce, a distinguerla tra il vocio del coro. Tra alcune modalità piuttosto originali rispetto alle tecniche tradizionali di psicoterapia viene utilizzata da Gaiarsa anche la respirazione bocca a bocca, dall’analista al paziente, nell’intento di insufflargli dentro il corpo un nuovo spirito. Gaiarsa propone una particolare modalità di interpretazione dei sogni alla luce della simbologia respiratoria. Noi non viviamo nell’aria (volando) ma viviamo “dell’aria”, in un certo senso facciamo in modo che l’aria arrivi a noi. Se consideriamo che respirare è comunque muovere il vento, troviamo un’analogia tra respirare e volare. Nei sogni, secondo le interpretazioni di Gaiarsa, uccelli, voli, angeli, aerei rappresentano la respirazione. Ho potuto costatare nella mia esperienza clinica che quando si lavora con la respirazione, molto spesso i sogni esprimono attraverso le sue immagini la fenomenologia respiratoria.

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Respirazione e relazioni

Ciò che della respirazione influisce sulla relazione quindi non è tanto la parola articolata quanto la musica della voce che nasce dall’aria “premuta in fuori” ed è quindi espressione nel senso più puro e letterale della parola. La voce emessa fa “pressione in dentro” (impressione) sull’ascoltatore. Questo processo espressione-impressione è immediato, istantaneo e l’influenza delle caratteristiche non verbali della voce e l’interferenza nel dialogo tra il ritmo e le forme respiratorie dei due interlocutori viene definito “transfert respiratorio”. Se la respirazione è una funzione di relazione, allora consegue che questa funzione di relazione, così come le altre relazioni cosiddette “oggettuali”, può essere perturbata più o meno in vari modi. Gaiarsa teorizza la nozione di complesso respiratorio o fase respiratoria nello sviluppo della personalità e considera la dipendenza respiratoria la più fondamentale delle dipendenze.

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La respirazione in Freud, Jung, Reich e Gaiarsa

Freud omette completamente la respirazione. Jung riscopre l’anima e sottolinea la dimensione spirituale della psiche, ma tralascia il corpo. Fu Reich il primo a riconoscere il valore e il significato psicologico della respirazione. Reich, tuttavia, non la sviluppò ulteriormente, come non sviluppò il rapporto tra la respirazione e la parola e tra questa e la formazione dell’ego, più volte sottolineato da Gaiarsa. Secondo l’autore brasiliano la prima fase dello sviluppo psicologico dell’uomo è respiratoria e non orale come sostiene Freud: “L’uomo di Freud non ha torace, ha bocca, genitali, ano…” 3. Gaiarsa focalizza l’attenzione sulla respirazione in quanto “prima azione” del neonato: il grido, che è la sua prima espirazione, segnala la morte del feto e la nascita dell’uomo. Prima tutt’uno con la madre, organicamente unito a lei, solo quando nasce ed inizia a respirare, l’uomo “si separa”, vive “per se stesso”, nasce come individuo. Se vivere è respirare, e se iniziamo a respirare con la nascita, allora l’“io” e la respirazione iniziano insieme. Prima di nascere, “io” sono lei, la madre; dopo la nascita, “Dio” soffia l’aria dentro di me ed io…inizio. La prima cosa che facciamo allora “riguardo a noi stessi” è un soffio. Forse possiamo dire che la respirazione è un atto riflessivo: io respiro per me, io pongo l’aria dentro di me, qualcosa viene da fuori in direzione del mio “dentro”, del mio mondo interno. Faccio mio qualcosa che era di tutti: l’aria. Il mio atto respiratorio individualizza quindi qualcosa di estremamente generico: l’aria. “Il movimento respiratorio inizia con la nascita, è dato con la coscienza del mondo e si costituisce come prima forma di coscienza di sé”4. “Il conflitto, tra il polmone che tende al collasso e la muscolatura toracica attuata dal centro inspiratorio, deve essere considerato come il primo conflitto dell’essere umano individualizzato (postnatale)”5.

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Respirazione ed emozioni

Tutte le scuole di psicologia condividono il valore e l’importanza di vivere e sentire il presente, il “qui e ora” che scaturisce dal contatto profondo con se stessi, con le proprie emozioni. Un’emozione è sempre accompagnata da un’alterazione viscerale e motoria che avviene spontaneamente e molto rapidamente ogni volta che ci troviamo dinanzi ad un ostacolo, una minaccia o una promessa, dinanzi a qualsiasi situazione affettivamente significativa. I primi segnali di emozione/desiderio sono l’accelerazione cardiaca e la variazione respiratoria. Se tratteniamo il respiro, senza l’ossigeno, viene a mancare al desiderio la forza della passione. Le emozioni toraciche sono perciò i segnalatori più sensibili e più veloci della repressione o liberazione emotiva. “Non esiste”, afferma Reich, “repressione senza restrizione respiratoria”. Noi civilizzati respiriamo molto al di sotto delle nostre potenzialità respiratorie, e quindi sentiamo molto meno delle nostre potenzialità emotive. È come se avessimo perso il contatto con la vita che pulsa dentro di noi. A volte non percepiamo neanche di respirare e di essere vivi; preferiamo il controllo e la sicurezza. Preferiamo, come sostiene Gaiarsa, la routine, che è “l’incoscienza o la coscienza di ‘tutto uguale’ e ‘sempre uguale’. È la vita a livello automatico. È essere senza percepire. È stare con il cadavere qui e la mente non so dove. È trovarsi a reagire nei confronti delle persone come se fossero altre, o nate per rispondere ai miei desideri e timori… È un passare senza guardare, un guardare senza vedere, un passare senza percepire e un vivere senza sentire…”6. È bello il volto di una persona triste, è vivo e ha una sua pienezza. La tristezza è un’emozione e così come la rabbia ha la sua dignità e autenticità. Qualsiasi emozione (anche un’emozione “negativa”) in un modo o nell’altro ci rende più vivi, più che in quei momenti in cui “non sentiamo niente”. “Se sono vivo, sono quindi emozione, movimento, creazione continua, instabilità totale, incertezza permanente”.

Respirazione e angoscia

La respirazione è una funzione biologica sempre urgentemente necessaria. La mancanza di respirazione già dopo pochi secondi diventa molto angosciante e molto rapidamente insopportabile. Possiamo stare ore senza realizzare le altre funzioni biologiche come il mangiare, il bere, la sessualità o il sonno…senza provare ansietà o sconforto e meno che mai la sensazione di morte imminente che è collegata all’asfissia. Ogni cosa che stringe la respirazione è immediatamente sentita come una minaccia diretta alla vita e quindi come angoscia. La parola angoscia significa angusto, “ristretto” e l’unico posto dove restrizione può significare morte è il polmone. Quando si respira poco, anche se non viene percepito chiaramente, la persona sa, istintivamente, che la sua vita è minacciata. Ogni interruzione respiratoria è vissuta dall’organismo come una minaccia vitale, questo sentimento/sensazione è l’angoscia. La restrizione respiratoria non “produce” angoscia, ma “è angoscia”. Per Moreno “ogni angoscia è la paura di entrare in scena”. E Perls sostiene che “ogni angoscia è la paura di entrare, di compromettersi, di attuare”. L’eccitazione/emozione è una preparazione biologica per il cambiamento, il corpo si prepara a entrare in una nuova situazione. Se conteniamo o paralizziamo la respirazione, viene contenuto l’impulso spontaneo ad attuare, e trasformiamo il desiderio in angoscia.

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Lavorare con il respiro

La ricerca e la pratica terapeutica occidentale si è attualmente riconciliata con alcuni metodi ispirati alle tecniche tradizionali dell’Oriente e ha approfondito lo studio dei molteplici effetti della corretta respirazione volontaria, non soltanto sui polmoni ma sull’intero metabolismo dell’organismo umano. È stato, in un certo senso, “riscoperto” il potenziale trasformativo della respirazione in ambito terapeutico e molti ricercatori hanno sviluppato svariate tecniche che la utilizzano secondo diverse modalità. Gaiarsa propone una forma di terapia basata sui principi bioenergetici della respirazione, molto simile alla di Grof. A differenza di Grof, che sottolinea l’aspetto di sviluppo psicologico e spirituale, Gaiarsa offre però una visione più pragmatica e focalizza l’attenzione sull’aspetto biologico e psicosomatico, parallelamente a quello dello sviluppo psicologico.

Il primo dei sacramenti cattolici, il battesimo, simbolizza la rinascita: la morte dell’uomo vecchio, l’uomo del potere e dell’oppressione e la nascita dell’uomo nuovo, l’uomo dell’amore, della sensibilità e della cooperazione. La sua essenza consiste nel “passaggio attraverso l’acqua”, nella morte per asfissia, nell’affogamento. Nella sua forma originale (praticato dagli Esseni) il battesimo consisteva nell’immersione forzata del battezzando nell’acqua, il che lo portava vicino alla morte per soffocamento. Perciò senza la riemersione nell’acqua, ossia il ritorno all’utero e la conseguente rinascita, non nasce l’uomo nuovo.

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Essere veramente vivi significa sperimentarsi, aprirsi, esporsi senza timore, interamente al flusso delle proprie emozioni. Siamo abituati a vivere a pezzi, separati dal fluire della vita; divisi dentro di noi e tra noi, siamo abituati alla paura di vivere e di sentire. Saper respirare, essere consapevole della propria respirazione, favorisce il collegamento con la vita interiore, produce un risveglio spirituale e una notevole vivacità dei sentimenti d’amore in senso ampio. Favorisce l’apertura del petto, nel profondo significato umano di questa espressione.