Orizzonti Possibili (Oltre la pandemia)

 

“Non ci può essere rinascita senza una notte oscura dell’anima, un totale annientamento di tutto ciò che hai creduto e pensato di essere.”
Hazrat Inayat Khan

 

“Bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante”

                                                                                                    Friedrich Nietzsche

Lo strappo

The Trauma of Painting è il titolo della mostra che nel 2015 ha ospitato le opere di Alberto Burri (1915–1995) al Guggenheim Museum di Ney York.

Burri, uno dei più complessi pittori del ventesimo secolo, è stato l’ispiratore dell’idea di arte come “processo in atto”, idea questa che ha influenzato una generazione di giovani artisti a partire dagli anni Sessanta.

             Cretto di Burri – Gibellina

 

I famosi «Sacchi» dei primi anni Cinquanta, con tele di juta stracciate e rattoppate (tra di esse il famoso “lo strappo” del 1952, una tela lacerata da uno squarcio verticale) appartengono alle fasi burriane più rinomate. Allo sguardo dell’osservatore queste opere invece di suggerire distruzione, fanno pensare paradossalmente ad un’apertura verso un’altra dimensione, al di là dello spazio limitato della superficie bidimensionale. Enigma ancora da decifrare, lo squarcio sembra interrompere la trama consueta dell’esistenza, catalizza la nostra immaginazione e ci trascina attraverso percorsi inesplorati.

 

I tagli

Anche i «Tagli» di Lucio Fontana (1889-1968), intitolati dall’autore “Attesa” (o “Attese” in caso di più tagli), sembrano voler dare vita alla monotonia dei monocromi, che diventano così semplici sfondi ai tagli, i veri protagonisti dell’opera. Una ferita forse, attraverso la quale spiare l’altrove, metafora visuale del cambiamento e dell’apertura verso un’oltre traboccante di infinite possibilità. “Attese” forse perché da quei tagli può scaturire la speranza, una via di uscita dalla piattezza della tela verso un altro luogo dal quale non si può più ritornare indietro: il punto di non ritorno, passaggio obbligato verso un nuovo orizzonte.

 

Il punto di non ritorno

Il punto di non ritorno è quel momento o quella situazione a partire dalla quale non si riesce più a interrompere un’azione o un processo in corso e tornare indietro, come quando un aereo cambia la sua rotta, non ha più autonomia di volo e diventa impossibile ritornare al punto di partenza: una condizione nella quale il cambiamento di rotta è imperativo e irreversibile.

Dal punto di vista dell’ecologia ad esempio, il punto di non ritorno è quello spazio temporale stabilito dagli scienziati, oltre il quale la Terra sarebbe così esaurita da inquinamento, deforestazione, riscaldamento etc… che non sarebbe più in grado di sostenere la vita. Se pensiamo al percorso umano, sia individuale che collettivo, il punto di non ritorno è quel momento in cui, raggiunta una certa consapevolezza, non possiamo “disimparare” e nemmeno dimenticare l’esperienza vissuta e la conoscenza acquisita; quindi non possiamo più continuare a vivere come prima, come se non sapessimo.

In questo periodo di pandemia stiamo attraversando una situazione imprevista dalla quale probabilmente non ritorneremo più come prima. Possiamo anche intuire in che direzione stiamo andando, ma ci sentiamo paralizzati e non riusciamo ancora a vedere l’orizzonte. Il buio sembra prendere il sopravvento ed è inevitabile, in momenti come questi, il confronto con ciò che ancora non conosciamo, con l’ignoto che ci abita. Abbiamo paura dello sconosciuto con i suoi fantasmi, ma soprattutto della solitudine e della perdita dei nostri abituali punti di riferimento. 

Ci sono alcune analogie tra il momento che stiamo vivendo e le varie fasi del percorso di trasformazione psico/spirituale descritto dalle nostre antiche tradizioni. Per incontrare la propria anima i nostri antenati andavano letteralmente nel deserto; come se solo lì, nella solitudine estrema potessero intravedere la luce. Solitudine che oggi, in tempo di pandemia è la nostra condizione abituale.  L’emergenza di contenuti nuovi, di nuovi schemi di pensiero e di un diverso modo di sentire richiedono questo pellegrinaggio nel deserto: tensione e timori, spaesamento, il confronto solitario con l’abisso e la terribile sensazione di aver toccato il fondo e di non riuscire a riemergere. Un confronto con la Morte, sia in senso fisico che spirituale, che potrebbe trasformarsi in rinascita, non solo individuale ma soprattutto collettiva.

“… il trovarsi soli con il proprio , o qualsiasi altro nome si voglia dare all’oggettività dell’anima. Essi devono esser soli, non c’è scampo, per far l’esperienza di ciò che li sorregge quando non sono più in grado di sorreggersi da sé. Soltanto questa esperienza può fornir loro un fondamento indistruttibile.” scrive Jung[1].

               Durante la nostra nascita, l’esperienza più drammatica e solitaria che un essere umano è chiamato ad attraversare, moriamo in quanto creature amniotiche illimitate   per poter rinascere come essere umani limitati e “separati” e fare ingresso in questo mondo. Esperienza traumatica e dolorosa descritta da che rimane impressa dentro di noi come il prototipo di ogni ulteriore trasformazione: l’abbandono del paradiso amniotico (la zona di confort), la lotta nel canale del parto (il conflitto), il soffocamento (che ricorda i sintomi del covid19 e le mascherine), l’attraversamento del tunnel buio e infine il passaggio trionfante verso la luce (la trasformazione).

Quando durante la nostra vita attraversiamo un periodo di profonda trasformazione viene attivato dentro di noi il ricordo assopito di questa esperienza archetipica, individuale e collettiva, con tutte le sue “prove” e le fasi drammatiche da superare. É un momento rivoluzionario nel quale possiamo attingere a tutta la forza ed il coraggio di cui siamo capaci per abbandonare la nostra zona di confort (l’utero) ed aprirci a nuove possibilità. Un momento nel quale possono emergere simboli finora sconosciuti, nuove espressioni creative e modalità relazionali in quanto non siamo in possesso di un “libretto di istruzioni”, di modelli precedenti da imitare.

 

Il timore di precipitare

 Siamo abituati ad una tacita ma implacabile violazione della nostra natura più intima, accettiamo situazioni insostenibili di cecità emotiva e di compromessi per evitare il confronto con la nostra anima: un vero e proprio auto tradimento che ci fa perdere la bussola ed allontanarci sempre di più dal nostro autentico cammino esistenziale. In certi momenti della vita, quando dinanzi a situazioni imprevedibili non riusciamo a intravedere una via d’uscita, ci rendiamo conto di esserci persi e solo allora iniziamo a cercare, nel dolore e nella disperazione, il filo sottile che ci ricollega alla nostra fonte e ci domandiamo incessantemente: in quale momento ci siamo allontanati da noi stessi?

Siamo chiamati allora a guardare oltre i veli delle nostre illusioni e ciò non è impresa piacevole, anzi, direi piuttosto penosa. Le nostre proiezioni ed illusioni più resistenti ci difendono dal pericolo di precipitare nel buio fitto di ciò che ancora non sappiamo di noi stessi, in tutto il suo dolore e le sue infinite possibilità. Il confronto con l’infinito (dentro e fuori di noi) è considerato in ambito spirituale la prima e più difficile prova che precede l’iniziazione. Ci sono luoghi angosciosi nella nostra anima dove, in fondo, speriamo che non penetri mai la luce, ma è solo guardando dentro l’abisso ed illuminando la nostra oscurità interiore che possiamo trovare la via.

Nel momento in cui sentiamo vacillare tutte le nostre certezze e tutta la nostra conoscenza si rivela futile ed i nostri modi abituali di pensare e di comportarci semplicemente perdono la loro efficacia, solo allora riusciamo a mettere in discussione l’immagine fittizia di noi stessi e, se abbiamo sufficiente coraggio e sete di vita, possiamo finalmente rischiare: lasciarci cadere nell’abisso e porci finalmente la domanda fondamentale: chi sono io? Allora e solo allora saremo veramente trasformati.

 

 

        La notte oscura dell’anima

 

Tristezza, smarrimento, solitudine straziante sono passaggi inevitabili per poter procedere nel percorso interiore, nel quale il vecchio muore per lasciare spazio al nuovo, come descritto nell’alchimia.   “La notte oscura dell’anima” ci fa pensare alla Nigredo alchemica, la morte iniziale, talvolta definita dai mistici “la notte tenebrosa”. Per evolvere come esseri umani dobbiamo attraversare consapevolmente le nostre “notti oscure”: lo stesso percorso che dovrebbe portare luce può giungere paradossalmente ad un buio fitto, minaccioso e angosciante. Ed è proprio nel momento di oscurità totale che, affermano i ricercatori spirituali, la luce riemerge folgorante, proprio come accade in natura. L’obiettivo principale di questo percorso di autoconoscenza è quello di permettere la liberazione dello spirito, il fluire dell’Anima e l’interazione tra questa e l’io, la nostra personalità.

 

Roberto Assagioli è uno psichiatra che ha integrato nel suo lavoro psicologia e spiritualità in una visione molto ampia e originale. Questa fase oscura, secondo Assagioli è parte fondamentale dello sviluppo dell’essere umano, lo stadio finale del percorso di trasformazione interiore: “quando il processo di trasformazione psico-spirituale raggiunge il suo stadio finale e decisivo, esso produce talvolta un’intensa sofferenza e un’oscurità interiore che è stata chiamata dai mistici cristiani “la notte oscura dell’anima…”  uno stato emotivo di intensa depressione, che può giungere fino alla disperazione”[2]

É un momento di passaggio, vissuto intensamente e tragicamente in quanto sentiamo e soffriamo fino in fondo la tristezza ed il lutto di aver abbandonato definitivamente tutto ciò che credevamo di essere fino a quel momento. Il premio finale tanto ambito è l’accesso alla gioia ed all’estasi dell’incontro con noi stessi.

Portiamo dentro di noi l’intuizione profonda di chi siamo veramente, la nostalgia straziante dell’esperienza di Unità ed il desiderio ardente di viverla. Nel linguaggio cabalistico una sorta di “promessa” che facciamo a noi stessi prima dell’ingresso in questo mondo: la promessa di cercare con tutta la nostra forza e determinazione la nostra verità più profonda.  Intuizione questa che spesso affiora nei sogni degli analizzandi come “progetto” sotto forma di immagini splendenti.

Il sogno di Angelica[3] (62 anni), scritto di suo pugno, intitolato “Cartagine” esprime questa intuizione/progetto con sentimenti estatici e immagini simboliche cariche di noumeno:

Inizia una sorta di distribuzione di generi alimentari. Credo fosse un momento di carestia. C’era una lavagna nella quale una signora scrive cose dal passato, sempre più giù fino a Cartagine. Vedo allora una immensa città sommersa, bellissima, dicevano nel sogno che si trovava sotto Venezia. C’erano rovine, ma anche vie intatte. Eravamo sott’acqua, c’era un silenzio profondo, ma camminavamo normalmente, guardando queste meraviglie del passato…

…Venivamo da lontano e siamo riusciti ad incontrarci qui. All’inizio sentivo una certa angoscia, perché il cammino era difficile, complicato. Ci avviciniamo in barca, insieme ad altre persone ad un’altra imbarcazione. Oprah[4] dice: “É qui il punto centrale del mondo dove queste 3 persone segnano l’ora”. É per questo che tutto funziona in questo modo corretto e preciso. Se loro non fossero qui in questo luogo, ad accompagnare il tempo, non sarebbe possibile conoscere il tempo, i meridiani. É qualcosa di molto necessario. Oprah mi dice: ti farò vedere qualcosa di molto bello… la cosa più bella del mondo. Andiamo allora in barca e lei mi indica un’aquila imperiale, ma forse era una fenice perché aveva una coda e, volando basso sopra di me, mi tocca una spalla e vola via. Oprah dice: “Che fortuna! che fortuna!” Ed io incredula ripetevo: lei mi ha toccato! Lei mi ha toccato!” mentre l’uccello volava in cielo, bellissimo! Dinanzi a noi vedo molte cascate d’acqua, pareti infinite di cascate cristalline e spumeggianti e l’acqua sale in alto. L’uccello fa dei giri in cielo ed io mi domando dove andrà? Vedo ancora molte altre cascate di acqua cristallina che scendono dall’alto. Provo una felicità indescrivibile e sento musica, una musica piacevole. In una delle barche vedo Gilberto Gil (musicista brasiliano) che cantava queste parole: “che i tuoi occhi siano sempre così, grandi a forma di mela, ma brillanti come un diamante o come una goccia d’acqua”.

Questo sogno ha portato alla sognatrice un’intensificazione del contatto con il proprio mondo interiore ed una maggiore fiducia in sé stessa e nell’avvenire.

Ciò che definiamo “risveglio” è tanto più difficile e doloroso, quanto più siamo immersi nel nostro “sogno”, quanto più siamo identificati con l’immagine costruita di noi stessi. Quando facciamo capolino fuori dal nostro ego, proviamo la forte sensazione di trovarci dinanzi ad un mondo sconosciuto e pericoloso. Proviamo incertezze, dubbi e molta ambiguità verso il nostro stesso percorso di consapevolezza e, a volte, persino un forte desiderio di ritornare al punto di partenza, rientrare nel nostro recinto sicuro dal quale mai saremmo dovuti uscire. Questo è un momento delicato nel quale rischiamo di rimetterci passivamente a strutture convenzionali, a stereotipi o a forme dogmatiche di autorità. Rischiamo di rassegnarci a credere che la trasformazione personale non possa essere altro che un’utopia: rischiamo la stagnazione.

               Jung, che ha attraversato la notte oscura, scrive nel Libro Rosso:

 “Io gridai infuriato: “È terribile, mi sembra assurdo, pretendere questo da me?

Tu abbatti i nostri dei potenti che per noi significano quanto c’è di più elevato. È questa la tua via, anima mia?

Tu tessi intorno a me la tenebra più fitta, e io sono come un pazzo imprigionato nella tua rete. Ma voglio che tu m’insegni.”

Ma l’anima mi parlò, dicendomi: “Il mio è un sentiero di luce.”

Replicai sdegnato: “Chiami luce quello che noi uomini consideriamo la peggiore delle tenebre? Chiami giorno la notte?”

A questo l’anima rispose con parole che mi portarono all’ira: “La mia luce non è di questo mondo.”
Gridai: “Non so niente dell’altro mondo!”

L’anima rispose: “E non dovrebbe esistere soltanto perché tu non ne sai niente?”

Io: “Ma allora il nostro sapere? Neanche il nostro sapere ha valore per te? Dove sono finite le nostre certezze? Dove si trova la terraferma? Dove la luce? La tua tenebra non solo è più nera della notte, ma è anche senza fondo. Se non esiste il sapere, allora forse non esiste neanche il linguaggio e le parole?”
E l’anima: “Neanche le parole.[5]

La Notte oscura, l’opera più celebre di San Giovanni della Croce, considerato un capolavoro della letteratura mistica, è stata composta durante i nove mesi trascorsi nel carcere del convento di Toledo. É qui che Giovanni vive l’immensa solitudine ed un doloroso sentimento di abbandono e matura l’esperienza della notte. Il concetto di “notte oscura” non è stato da lui inventato e non è esclusivamente cristiano e nemmeno religioso; è un concetto che appartiene all’antica tradizione spirituale. Spesso identifichiamo la notte oscura con la sofferenza e nient’altro, ma questa espressione si riferisce a tutte le varie tappe di questa esperienza di auto scoperta, compreso l’apice nel quale la notte oscura si trasforma nella “notte pacifica, profonda, e colma dell’intelligenza divina” nelle parole di Giovanni.

 Il fine ultimo di questo travagliato percorso è la trascendenza dell’ego e “l’accesso al divino”: una esperienza di Unità e Totalità attraverso la quale rivalutiamo noi stessi, i nostri valori e la nostra visione del mondo. C’è molta affinità tra il concetto di notte oscura cristiana descritta da Giovanni e la pratica buddhista della crescente delusione/dis-identificazione in relazione agli oggetti del desiderio, persino lo stesso satori. La pratica di rinunciare a sé stessi, cioè alle proprie esigenze egoiche sembra essere l’elemento centrale di questo cammino insieme all’importanza del vivere intensamente il momento presente.

Giovanni si riferisce allo stato di pienezza dell’esperienza di “Unione con il divino” come pace interiore e intuizione profonda, come viene descritto anche dalle varie tradizioni meditative orientali (lo yoga o il vipassana per esempio) e afferma che “Dio non dà mai la sapienza mistica senza l’amore dal quale viene infusa”. Quindi ogni conoscenza spirituale è accompagnata da un “cuore pervaso d’amore”, di un amore che viene “infuso”, secondo il mistico carmelitano, un amore che viene ricevuto come un dono divino, in cui “l’unica cosa richiesta è quella di dare il proprio assenso”.

 

 

La psicologia e l’esperienza dell’oltre

 

Sono entrata in un territorio esperienziale che per la psicologia tradizionale è un territorio “minato”, un’area di frontiera avvolta da una specie di tabù: il territorio dell’ambiguità e del pericolo, un baratro minaccioso dentro al quale rischiamo di precipitare. Ma è anche il luogo della vita interiore, dell’esperienza del divino e dell’estasi. Pericoloso dal punto di vista del nostro io separato e della nostra affermazione personale e proprio per questo è stato rimosso nel corso dell’evoluzione dell’essere umano “civile”. Una rimozione necessaria per la costruzione della nostra realtà.

Nella psicoanalisi classica il concetto di ego (l’io separato) è associato all’abilità di rapportarsi adeguatamente alla realtà e di “funzionare” in modo soddisfacente nella vita quotidiana. Quindi va rafforzato e consolidato in contrasto con quanto sostengono le varie religioni orientali secondo le quali l’ego va superato: si deve andare oltre il confine egoico, abbandonarlo, trascenderlo. Dante nella Divina Commedia ha coniato Il termine “transumanare” per indicare il superamento dei limiti umani, il raggiungimento di uno stato “semidivino”. Nel Dizionario Enciclopedico Italiano, transumano significa “più che umano, che trascende i limiti della condizione umana e assurge al divino”. Oggi, il termine “transumano” viene più usato per indicare uno stadio umano transizionale, inteso nel senso della transizione verso una nuova forma umana bio/tecnologica come il cyborg, per esempio, ma originariamente si riferiva appunto, come intendeva Dante, ad una trasformazione psicospirituale.

 

Il percorso “iniziatico”, attraverso la quale si giunge ad un’autentica trasformazione, è un processo autonomo e archetipico messo in atto dalla natura stessa che deve evolversi, rinnovarsi attraverso periodici cicli di morte e rinascita. Dobbiamo attraversare la notte oscura, descritta da Giovanni, prima di emergere dalla parte della luce. Si tratta quindi una sorta di “purificazione”, di una progressiva trasformazione dell’essere umano, di grande interesse psicologico. Un travagliato percorso nel quale gli oggetti del desiderio perdono progressivamente significato, rivelando la loro sostanziale inconsistenza (nel buddhismo va sotto il nome di “prima nobile verità” o dukkha, la sofferenza universale) e che genera in chi l’attraversa la convinzione  che l’unica “vera” realtà è il momento presente così com’è, nella sua spontaneità e semplicità.

Questa dimensione spirituale/estatica dell’esistenza umana nella nostra civiltà affiora solitamente in quelle esperienze “dell’oltre” che vengono oggi sistematicamente negate o patologizzate, ma è proprio questa dimensione dell’esperienza umana ciò che oggi ci manca e che è estremamente necessaria alla nostra attuale evoluzione e visione del mondo.

Chi coraggiosamente riesce ad addentrarsi in questi territori insidiosi deve attraversare solitudine, isolamento, paura, incertezza, decentramento dell’io: “la notte oscura dell’anima”. Tutto ciò che oggi più che mai, in tempi di pandemia, siamo, volenti o nolenti, costretti ad affrontare.

Il nostro vecchio paradigma culturale basato sulla separatezza cartesiana dovrebbe riconsiderare questo pregiudizio e la generale negazione delle esperienze spirituali/estatiche, riconoscendo in esse non solo le esperienze descritte dai mistici, che rimangono una delle possibili manifestazioni, ma tutte quelle esperienze evolutive e creative alle quali può accedere l’essere umano. Questo apice della psiche umana descritto da Abraham Maslow è contemporaneamente il suo centro propulsivo/risanatore e la fonte originaria di tutto ciò che di Nuovo può ancora concepire l’essere umano. Si tratta di esperienze legittime e profondamente umane, che possono emergere dal terreno fertile di ogni crisi esistenziale sia individuale che collettiva. Esse chiedono oggi urgente riconoscimento e non possono più essere evitate, negate né rimosse.

In filosofia la civetta, che spicca il suo volo solo al crepuscolo, quando il sole è già tramontato è il simbolo della saggezza che emerge “a fatti compiuti”, quando il processo di maturazione della civiltà si è già concluso. Ma insieme alla civetta entra in gioco, dicono i filosofi, un altro animale simbolico, la talpa: animaletto cieco, che si nasconde nei sotterranei e che vive scavando senza sapere dove sta andando. Questo “scavatore invisibile” che apre percorsi e passaggi nelle viscere della natura rappresenta l’operare dello spirito nel “sottosuolo” e la sua capacità di scuotere la “crosta terrestre”.

Secondo Hegel quando il terreno sprofonda è perché la talpa ci ha lavorato lungamente proprio come accade con i nostri cambiamenti improvvisi: essi erano già maturati nelle nostre “viscere”.

Le grandi trasformazioni, quelle che ci saltano all’occhio, devono esser precedute da una rivoluzione intima e silenziosa dentro noi stessi che non è visibile a “occhio nudo”. Ciò che rende sorprendente il risultato è solo l’ignoranza di questi accadimenti interiori e dello “Spirito del Tempo” che aleggia sopra le nostre teste.

In questo momento, come talpe cieche e laboriose stiamo scavando il terreno, aprendo varchi dai quali non vediamo ancora la luce e solo quando apriremo le porte delle nostre case e della nostra anima, potremo finalmente vedere con gli occhi grandi della civetta tutte le avversità e le contraddizioni che hanno caratterizzato questo momento che stiamo vivendo. Con lo sguardo acuto della civetta potremo forse interpretare in maniera vigile e consapevole le modificazioni prodotte dalla crisi epocale, ma solamente seguendo la via della talpa che scava e trasforma le fondamenta, potremo squarciare la piatezza della tela monocromatica delle nostre esistenze e conciliare le nostre contraddizioni: lo strappo luminoso che ci apre al mistero della vita ed a una possibile metamorfosi.

 

                                 ABSTRACT

 

                           ORIZZONTI POSSIBILI

                                    (Oltre la pandemia)

Ci sono alcune analogie tra il momento attuale che stiamo vivendo ed i momenti iniziali del percorso di trasformazione psico/spirituale descritto dalle nostre antiche tradizioni. Per incontrare la propria anima i nostri antenati andavano letteralmente nel deserto, come se solo lì, nella solitudine estrema potessero intravedere la luce. Solitudine che oggi, in tempo di pandemia è la nostra condizione abituale.  L’emergenza di contenuti nuovi, di nuovi schemi di pensiero e di diverso modo di sentire richiedono questo pellegrinaggio nel deserto: tensione e timori, spaesamento, il confronto solitario con l’abisso e la terribile sensazione di aver toccato il fondo e di non riuscire a riemergere. Un confronto con la Morte sia in senso fisico che spirituale, che potrebbe trasformarsi in rinascita, non solo individuale, ma soprattutto collettiva.

 

                                       POSSIBLE HORIZONS

                                 (Beyond the pandemic) 

 

There are some analogies between the present we are living nowadays and the initial moments of the psycho / spiritual transformation path described by our ancient traditions. To meet their souls, our ancestors literally went into the desert, as if only there, in extreme solitude, they could see the light. The same solitude which today, in this time of pandemic, is our usual condition. The need of new contents, new patterns of thoughts and different ways of feeling require this pilgrimage to the desert: tension and fear, disorientation, the solitary confrontation with the abyss and the terrible feeling of having touched the bottom and failing to re-emerge. A confrontation with Death both physically and spiritually, which could turn into a rebirth not only individual but above all collective.

 

 

PAROLE CHIAVE: trasformazione, metamorfosi, pandemia, auto tradimento, percorso iniziatico, la notte oscura dell’anima, il punto di non ritorno, C. G. Jung, R. Assagioli. Abraham Maslow, Giovanni della Croce

KEE WORDS: transformation, metamorphosis, pandemic, self betrayal,

dark night of the soul, point of no return, initiatory path, C. G. Jung, R. Assagioli. Abraham Maslow, Giovanni della Croce

                

                    AUTORE:

Virginia Salles è psicoterapeuta individuale e di gruppo, di formazione junghiana e transpersonale.  E’ certificata dal G.T.T. (Grof Transpersonal Training) a condurre gruppi di olotropica. E’ autrice dei libri Agua scura edito da Di Renzo Editore, 2005; Mondi invisibili. Frontiere della edito da Alpes Italia srl, 2013; Spazi oltre il confine. Temi e percorsi della psicologia del profondo tra C. G. Jung, e la Cabalà (Alpes Italia, 2015) e di numerosi articoli sulla psicologia analitica e transpersonale. (sito web: www.virginiasalles.it).

 

  AUTHOR:

Virginia Salles, born in Bahia, Brazil, has studied psychology in Rome, where she currently works and studies. As individual, and group, Jungian therapist, she completed her specialization in transpersonal psycholotherapy, and holotropic breathing with Stanislav Grof.    Author of “Agua scura” published by Di Renzo Editore, 2005, “Mondi invisibili. Frontiere della psicologia transpersonale” published by Alpes Italia, 2013, and  “Spazi oltre il confine. Temi e percorsi della psicologia del profondo tra C. G. Jung, e la Cabalà” published by Alpes Italia, 2015, and of numerous articles on analytical and transpersonal psychology. (web site: www.virginiasalles.it).

 

 

 

 

  

[1] Jung. C. G. Psicologia e Alchimia, Editore Boringhieri, Torino, 1983, pag. 307

[2] Assagioli R. Psicosintesi Armonia della vita, Edizioni Mediterranee, Roma, 1977, pag 30

[3] Il nome naturalmente è fittizio, l’età è quella reale

[4] Oprah Winfrey, conduttrice televisiva statunitense dalla quale la sognatrice è una grande ammiratrice.

[5] Jung. C. G. O livro Vermelho, Editora Vozes Ltda, Petròpolis, RJ, 2010, pag. 313. Tda