Solitudine affollata

Ricercata da molti come l’aria che si respira, temuta da altri come un arido deserto o una disgrazia da evitare, la “Signora in rosso” da qualche tempo fa da padrona nelle nostre case. La vesto di rosso perché non solo richiama il dolore, ma è anche il colore della vita ed è proprio lei, la Solitudine, che travaglia e vivifica le nostre esistenze e ci accompagna in straordinari viaggi dentro noi stessi verso una nuova libertà.

Viviamo nella “civiltà dello spettacolo”, scrive Vargas Llosa[1], e sacrifichiamo un mondo intero di prezioso nutrimento spirituale sull’altare del piacere immediato e dell’intrattenimento. Il “vivere per fuori” predominante rispetto al “vivere per dentro” è oggi la regola che in un certo senso ci normalizza.  Basta dare un’occhiata sui social per tastare il polso di questo immenso sacrificio culturale/etico in tutta la sua umana decadenza.

C’è qualcosa di avvincente nella solitudine, una volta che riusciamo a riempirla di contenuti e darle una direzione. Invece di cacciarla via o rimpiazzarla con compagnie desertiche che ce la rubano senza offrirci una vera presenza, possiamo imparare ad abitarla comodamente insieme ai nostri antenati o contemporanei: scrittori, pensatori, musicisti… in compagnia della nostra memoria e della nostra immaginazione. Non sarà allora più un monologo, ma una solitudine affollata di fantasmi amichevoli che si trasforma in un dialogo stimolante e ispiratore.

Abitando la solitudine possiamo scoprire giorno dopo giorno l’immenso valore di questo spazio apparentemente immobile che può rivelarsi vitale e popolarsi di “accadimenti” sorprendenti. Fare silenzio diventa allora qualcosa che è molto di più del semplice tacere. Significa creare le condizioni per far germogliare la vita interiore.


[1]  Llosa, Vargas, La civiltà dello spettacolo, Einaudi, Torino, 2013