Recensione di Agua Scura

Recensione di Agua Scura

di Erika Czako

 

Scrivere è un modo di prendersi cura di se stessi, è la riflessione necessaria, l’angusto passaggio che unisce l’espressione del sentimento alla sua elaborazione cognitiva. Attività da svolgere in silenzio e solitudine: nessun rumore intorno, ma solo l’orecchio attento, teso a cogliere le sottili vibrazioni emesse dalla propria anima. Riflettere, guardarsi dentro e far emergere in superficie la storia interiore di un’esistenza, reale o immaginata, evocazione comunque urgente, indispensabile lavoro clinico su se stessi. E’ quanto Virginia Salles è riuscita a raggiungere in questo saggio, analizzando la storia una sofferenza psicologica, affettiva e, insieme, totalmente fisica, filtrata attraverso il fantasma di un Eros sfuggente e inafferrabile.

L’autrice, testimone di se stessa, o lucida osservatrice di un’immagine fantasticata, tecnicamente e professionalmente “attrezzata” per consegnare al lettore la narrazione di un percorso analitico ed esistenziale denso e coinvolgente, ci introduce nel segreto mondo del ‘temenos’, del sacro recinto analitico e dei fantasmi che lo popolano. Quel Paradiso perduto, immerso nella caligine della memoria della nostra specie, al quale tutti vagheggiamo di poter tornare.
Ciò che il lettore è condotto a scoprire è che, alla fine del percorso, diradatasi la nebbia lattiginosa, emergeranno le figure umanissime dei due protagonisti, la paziente e il suo analista, restituiti al concreto mondo dei vivi, riscattati da un reciproco e doloroso incontro con se stessi tramite l’Altro. Il lavoro di Virginia Salles si presta ad essere analizzato attraverso tre piani di lettura: biografia immaginaria, resoconto di un caso clinico e riflessione sulla professione di psicoanalista, i suoi costi umani, i rischi che comporta.

Con uno stile estremamente personale, autentico, Virginia Salles afferra il lettore per trasportarlo in avanti e indietro, al di fuori e all’interno di un’esistenza, in una sequenza di balzi cronologici ed ambientali, quasi che, invece che la penna o la tastiera di un computer, l’autrice avesse impugnato un’agile telecamera digitale, scrivendo le sue pagine con il ritmo del montaggio cinematografico, sempre attenta ad ogni sfumatura cromatica, alla temperatura del colore.

E quindi Roma e Bahia, il silenzio dello studio dell’analista e il frastuono delle feste popolari brasiliane. I colori esotici e i profumi che fanno da sponda all’odore dei libri, alla penombra che li avvolge. Spazi aperti e chiusi, in un’oscillazione continua tra reale e immaginario, tra ieri e oggi, tra salute e malattia. Già perché Virginia Salles, oggi affermata ed esperta psicoterapeuta, ci guida nei meandri di un autentico percorso clinico dove l’io narrante è veramente un Io forte, irrobustitosi dopo una vittoriosa lotta condotta contro violente forze disgregatrici, stati affettivi caotici, pulsioni aggressive nonché il delirio erotico del transfert.

Quando la sofferenza psicologica, parte integrante e strutturante di ogni esistenza, si arricchisce di sintomi, ovvero si clinicizza, nel paziente si attua il passaggio dallo stato di disagio a quello di vero e proprio disturbo psichico, ma questo percorso è certamente reversibile se effettuato con il conforto della presenza e del sostegno di un adeguato terapeuta.

 

Adeguato: che cosa significa veramente questo termine? Quali sono le caratteristiche psicologiche profonde che permettono di curare i disordini dell’anima?

Certamente non sono frutto di apprendimento scolastico, purtroppo non servono più di tanto le varie lauree, master, corsi di perfezionamento e quant’altro l’industria della formazione propone a piene mani ad una frastornata platea di aspiranti psicoterapeuti. Forse la risposta più scomoda ma vera è questa: occorre aver attraversato l’esperienza, esserci passati, aver provato sulla propria pelle quel particolare tipo di dolore che costituisce la sofferenza psichica e poi averne saputo osservare, con la freddezza dello studioso, i dettagli, l’evoluzione, distanti da se stessi almeno di un passo, in un lucido esame della realtà. E avere anche il coraggio e l’onestà intellettuale di ammetterlo, di narrarlo, se necessario, anche attraverso l’espressione artistica. Ecco perchè la psicoterapia, e la psicoanalisi in particolare, diviene attività culturale e terapeutica squisitamente interdisciplinare, insinuandosi tra scienza ed arte.

Ma tutto ciò non è ancora sufficiente. Non ci si soffermerà mai abbastanza a riflettere sul logoramento personale che la professione dello psicoanalista comporta. Sulla tensione emotiva spesa per mantenere nel setting equilibri delicatissimi. Essere se stessi ma ‘sentire’ come l’Altro. Entrare con la propria anima in risonanza con l’anima del paziente. Tollerare il continuo assedio delle proiezioni aggressive ed erotiche portate dai pazienti, lasciarsene attraversare senza nemmeno potersi illudere di restare indenni. Rimanere se stessi può significare rimanere totalmente soli. E questa, tra tutte le condizioni, è forse la più disumanizzante, quella che più facilmente ci mette a diretto contatto con la nostra fragilità. Fra tutte le forme di forse la terapia analitica condotta ‘vis a vis’ è la più logorante e rischiosa. Apparentemente si tratta solo di talking cure’, parole che curano, ma solo chi non l’ha sperimentata direttamente, come paziente o terapeuta, può credere a ciò.

Come la comunicazione verbale non si esaurisce solo nel mero trasferimento di dati o di informazioni, ma trova, nella sua forma non verbale, la sua maggiore ricchezza espressiva, così, nel setting analitico, dove ogni sfumatura è ridondante, il confine tra parola e gesto può divenire ancora più sottile e la distanza tra corpo ed anima annullarsi. Certamente etica e deontologia dovrebbero fornire i supporti per affrontare qualsiasi emergenza, ma sappiamo bene che la realtà delle relazioni umane è molto più complessa e imprevedibile di quanto un moralismo di comodo vorrebbe che fosse. Più che giudicare, è molto più importante riflettere, elaborare le esperienze, allargare il proprio punto di vista accogliendo anche l’errore che, se ben interpretato, si trasforma in ricchezza, in risorsa in più. A disposizione di tutti.

Questo saggio, consegnandoci la dolorosa verità dei suoi protagonisti, ci aiuta a farlo.

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