L’eclisse. Frammenti di un percorso terapeutico

L’eclisse. Frammenti di un percorso terapeutico

(Estratto)

 

…sembrava che anche gli oggetti materiali fossero fatti di amore, anzi che tutto il mondo fosse una esplosione di amore. Vedevo amore, udivo amore e toccavo amore. Per me non esisteva altro che amore…

(Sri Govinda, La Coscienza Cosmica )

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Secondo la psicologia di Reich, Lowen e Gaiarsa, ad ogni emozione corrisponde una preparazione organica (muscolare, cardiaca, respiratoria), atta ad estrinsecarla, che prevede un’azione del corpo nella realtà. Ad ogni rimozione corrisponde quindi un “imprigionamento” del gesto o dell’azione non manifesti che lasciano il posto ad una serie di contrazioni muscolari e restrizione respiratoria. Queste tensioni formano ciò che Reich definisce “le corazze muscolari del carattere” che trattengono e impediscono il libero fluire delle emozioni, l’autoespressione, la spontaneità, e provocano un’insufficiente irrorazione sanguinea in quelle parti o organi del corpo interessati. Queste “rigidità caratteriali” stanno all’origine di molti disturbi psichici e di malattie psicosomatiche. L’attivazione dell’inconscio, che avviene durante questo tipo esperienze di auto esplorazione profonda, provoca il risvegliarsi della memoria corporea e delle esperienze ad essa associate, molto spesso non accessibili al linguaggio verbale. Queste reazioni fisiche che vengono attivate durante la seduta olotropica possiedono una struttura psicosomatica molto complessa e affondano le loro radici non solo nell’inconscio personale, ma anche archetipico o transpersonale. Alcune volte rappresentano le tensioni e i dolori della vita quotidiana del respiratore in modo amplificato; altre volte invece appaiono collegate ad antichi vissuti o traumi appartenenti a stadi precedenti della sua vita. Altre volte ancora comunicano, attraverso il linguaggio del corpo e le emozioni o immagini ad esso associate, un messaggio importante per quella persona: una profonda comprensione di qualche evento significativo della sua vita o di temi filosofici o esistenziali di più ampio respiro, universali, che in quel determinato momento diventano attuali e richiedono maggiore chiarezza. La tensione fisica può essere “sciolta” in due modi diversi: il primo, attraverso la catarsi e l’abreazione, così come furono descritte da Freud e Breuer: l’energia viene liberata attraverso il pianto, movimenti, spasimi e tremori, urla e persino il vomito. Il secondo modo offre una diversa comprensione e rappresenta un nuovo sviluppo della psicoterapia: le tensioni che affiorano vengono “consumate” attraverso “contrazioni muscolari transitorie di varia durata”, liberando così l’organismo in modo piuttosto sorprendente e, direi, molto efficace. A queste intense manifestazioni psicofisiche fa seguito un profondo rilassamento.

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L’approccio psicologico transpersonale, che affonda le sue radici nel modello umanistico, focalizza l’attenzione in modo particolare sulla fragilità e sull’insignificanza dell’esistenza umana derivate dalla separazione dell’io dal “Sé”, il centro spirituale interiore che trascende l’individuo. Quando siamo identificati con il nostro io biografico, la vita ci appare terribilmente arida e vuota, priva di significato e di contatto con i valori e principi universali. Il sintomo diventa allora la risposta naturale al fallimento del progetto esistenziale incentrato sull’ego, sulla “separatezza”. In questo contesto il processo evolutivo richiede di varcare i ristretti confini della logica egocentrica e di abbandonare le modalità difensive dell’io a favore di una crescente apertura verso il mondo interiore e la dimensione sacra dell’esistenza. Procedendo verso una più profonda consapevolezza di se stessi e del proprio sentire si arriva a un momento cruciale: la resa – senza la quale, senza che ci sia il dono integrale di se stessi, non può aver luogo la trasformazione. In questo momento ciò che muore è quella parte di noi che s’identifica con i confini della nostra pelle, quella parte separata dal resto dell’universo che agisce come se fosse la protagonista assoluta nella scena della vita. Ciò che muore è la percezione di noi stessi come “entità separate”, lasciando spazio e apertura a tutto ciò che fino a quel momento è stato altro da noi. È soltanto dopo aver abbandonato l’ego con le sue identificazioni, ruoli e le sue vecchie sicurezze, che possiamo aprirci a questa nuova consapevolezza ed entrare in contatto con la “vita che fluisce dentro di noi” in tutta la sua potenza propulsiva e creatrice. Questo è il momento fondamentale del processo di morte e rinascita descritto da Grof.

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Le esperienze olotropiche non richiedono mai un’ulteriore analisi o interpretazione, in quanto la profondità di questi vissuti è tale che qualsiasi interpretazione risulterebbe riduttiva e limitante del fluire stesso del processo psicologico. Qualche volta può essere di aiuto l’amplificazione di tradizione junghiana, come per esempio il racconto di temi mitologici analoghi o evocativi. L’effetto di questa esperienza fu per Giacomo quello della rivelazione, fu un’esperienza che lo segnò profondamente e fu foriera di una vera e propria trasformazione nella sua vita.

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Nel programma dei dodici passi utilizzato dagli Alcolisti Anonimi, il terzo passo – “abbiamo deciso di rimettere la nostra volontà e la nostra vita nelle mani di Dio, cosi come noi lo intendiamo”- riguarda il venir meno del controllo da parte dell’io e l’abbandono, la resa incondizionata ad un Potere Superiore. Questo passo apre le porte al “Sé profondo”, al “Potere Superiore”, a “Dio, cosi come noi lo intendiamo”. Questa espressione “Dio, così come noi lo intendiamo”, utilizzata nel programma dei dodici passi, sottolinea l’unicità di ogni esperienza del divino, l’importanza dell’esperienza che ciascun essere umano ha del Sé profondo.

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Questa tecnica terapeutica proposta da Grof, così come altri metodi esperienziali utilizzati in ambito transpersonale, nasce dalla sempre crescente esigenza di una più ampia integrazione teorica e di un maggiore eclettismo tecnico nell’attuale panorama degli studi in ambito psicologico. Pionieri in questo campo sono stati i lavori di ricercatori appassionati, da C. G. Jung a Abraham Maslow, da John Perry a Stanislav Grof, da Roberto Assaggioli a Ken Wilber, e altri. Lo scopo principale di questi metodi rivoluzionari è quello di “spingere in avanti” l’evoluzione individuale e collettiva e di accrescere l’efficacia terapeutica guardando oltre i confini delle singole teorie e dell’approccio psicoterapeutico tradizionale considerato riduttivo, in quanto non mette in discussione l’unilateralità della nostra attuale visione della psiche e gli stessi confini egoici. Nella nostra cultura non esistono strutture ufficiali che possono offrire la possibilità di squarciare il velo di Maya descritto dagli indù, di andare al di là delle apparenze e vivere profonde esperienze emotive. Attraverso questi vissuti possiamo trascendere la realtà ordinaria, compensare così l’unilateralità tipica del mondo in cui viviamo e accedere alle sfere transpersonali, alla dimensione più profonda della psiche che da sempre ha rappresentato l’unica fonte di significato esistenziale e di verità per tutta l’umanità. Nella cura delle diverse forme di dipendenza è indispensabile offrire alla persona sofferente la possibilità di vivere esperienze che attivino e nutrano il cuore e favoriscano l’accesso alle profondità del proprio mondo interiore. Senza questa possibilità di trascendenza ogni approccio terapeutico risulta riduttivo e inadeguato. La vera trasformazione tramite lo “spiritus contra spiritum” non può avvenire se non viene soddisfatto questo impulso al superamento dei confini egoici, la profonda sete dell’anima che soggiace a questo tipo di sofferenza, che possiamo ben definire spirituale. Non possiamo soddisfare questa esigenza attraverso lo studio della teologia, l’apprendimento di dogmi, la preghiera o la pratica di un credo religioso. È necessario un percorso interiore, una esperienza, l’immersione nelle profondità dell’anima alla ricerca di un contatto diretto con il Mysterium tremendum, la forza spirituale in ognuno di noi.

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L’uomo biodegradabile

La trascendenza dei confini abituali dell’ego, l’esperienza di una dimensione “altra” da ciò che lui riconosceva come “se stesso” che ristabilisse il contatto con la fonte di significato dell’esistenza: era forse questo l’elemento mancante nella vita di Giacomo che lo allontanava da se stesso, imprigionava il suo cuore, e aveva sconvolto così drasticamente la sua esistenza? Oggi mi sento di rispondere proprio di sì. Ma non solo. Un altro elemento determinante è stata la funzione di rispecchiamento svolta dalla relazione terapeutica. Quando manca interiormente il “centro di gravità permanente” (Battiato), la percezione di se stessi è quella di un’immagine frammentata, proprio come l’immagine che appare dinanzi ad un “specchio infranto”. È questo il vissuto soggettivo tipico di chi va incontro alle varie forme di dipendenza da alcol, droga o altro. La funzione di “rispecchiamento” all’interno della relazione terapeutica, l’essere “guardati in fondo all’anima”, “visti” in profondità, “riflessi” e “riconosciuti” da un occhio attento ed empatico, possono rappresentare un’esperienza profondamente risanatrice. L’attenzione e l’interesse vivi di un’altra persona agiscono dentro di noi come il sole a primavera, riscaldano e accendono la vita interiore. Là dove c’è vera attenzione verso l’altro può esserci reale scambio di influenze e trasmissione di conoscenza, la vita inizia a germogliare e sorgono le prime “variazioni” in una reciproca danza della creazione: possiamo immergerci fiduciosi nel letto del fiume della vita e arrenderci alla trasformazione. Solo allora le cose iniziano ad accadere…e quando si raggiunge l’apice della reciproca influenza, iniziamo a percepire che io e l’altro, io e l’universo siamo creazione continua, che non esistono cose, esistono solo processi, avvenimenti.

Durante il mio training formativo in mi accadde un’esperienza particolare: ero la “sitter” (assistente) di un ragazzo di circa trent’anni che mi chiese di guardarlo fisso nel volto con molta attenzione per tutto il tempo dell’esperienza. L’ho fatto con impegno anche se, nelle tre ore di durata della sessione olotropica, qualche volta, distratta dai rumori della sala o dall’esperienza di altri respiratori, ho leggermente distolto lo sguardo dal suo volto. Ma ogni volta che questo accadeva il ragazzo, che nella penombra della sala portava sugli occhi una benda nera, si accorgeva della mia distrazione e dava segni visibili di sofferenza e di abbandono. Ritornavo subito alla posizione di totale concentrazione del mio sguardo sul suo volto e lui si riprendeva. In quei momenti il suo volto, dietro la benda, sembrava illuminarsi e continuò ad essere raggiante ancora dopo l’esperienza. Durante la condivisione descrisse il suo vissuto emotivo riguardo a quell’“essere guardato con attenzione” come una delle esperienze più gratificanti della sua vita, qualcosa che aveva sempre, nel suo intimo, ardentemente desiderato. Questo è un esempio di “richiesta” di un’esperienza relazionale “correttiva” che accade durante l’esperienza olotropica, quando si ritorna nel luogo dell’assenza, ad un vissuto precedente di deprivazione, spesso legato all’infanzia. A volte la richiesta può essere di un semplice contatto della mano, di una carezza o di un lungo abbraccio.

Le esperienze di trascendenza dei confini spazio-temporali vissute durante gli stati olotropici portano alla disindentificazione con il corpo, acquisizione indispensabile e tappa fondamentale di ogni percorso spirituale. Questa nuova percezione di se stessi, che in realtà è un superamento del “limite”, trascina con sé un profondo senso di libertà e la consapevolezza (emotiva, non razionale) di un se stesso non più dentro ai confini della propria pelle, non più “separato”, un se stesso che va oltre i ruoli abituali e abbraccia la totalità dell’esistenza. Un se stesso, forse per la prima volta “intero” e allo stesso tempo, paradossalmente, “oltre i confini”. Questo tipo di esperienza produce in chi la vive un effetto di “rivelazione”, è spesso carica di “numinosità” e di sacralità, ed è, credo, uno dei momenti più trasformativi del percorso interiore. Una volta elaborata e integrata nella personalità totale, essa rimane uno di quei momenti rispetto al quale possiamo davvero affermare di “non essere più gli stessi”, o di essere “inspiegabilmente nuovi”. La “verità” che scaturisce da questa nuova consapevolezza è profondamente “ecologica”, tale da poter parlare della nascita di un nuovo modo di essere “umani”: un essere umano che possiamo definire “biodegradabile”. L’esperienza della trascendenza dei confini spazio/temporali è portatrice di consapevolezza e di significato e rende la persona maggiormente in grado di armonizzarsi con la natura e con i propri simili e di assumersi il proprio compito esistenziale in quanto, una volta “scioltasi”, trasceso i confini, la persona sa e sente di appartenere alla Totalità. Non solo allora lo “Spiritus contra spiritum” junghiano contro la devastazione dell’alcol, ma “lo spiritus” contro l’alienazione, il vuoto, la frammentazione e la “separatezza”, la perdita di senso e di valori, l’indifferenza. Lo spiritus contro una natura sempre più devastata e un mondo che sta andando a pezzi. Un antidoto risanatore per Giacomo sicuramente, ma forse per tutti noi in questo particolare momento del nostro travagliato percorso individuale e collettivo, dell’avventura interiore che chiamiamo evoluzione.